FACCIA A FACCIA CON LA MUSICA: LA CRUS

FACCIA A FACCIA CON LA MUSICA:          LA CRUS

Autore: Davide Libralato

Mauro Ermanno, hai uno stile e un’eleganza inconfondibile che permette ai tuoi brani (e a quelli dei La Crus) di essere riconoscibili anche se interpretati da altri artisti. Qual è il segreto per ottenere questa unicità?
Ok, partiamo subito da una domanda difficile alla quale rispondere. C’è un grossissimo lavoro quotidiano nel capire come interpretare un brano nuovo o di altri per ottenere un’unicità riconoscibile, e c’è inoltre il gusto. Che è la stratificazione del tuo vissuto. Credo di essere infatti un mix di tante cose. Un background culturale e musicale che arriva dal post-punk e della new wave che per certi versi non ho mai abbandonato. Un approccio sempre poetico e mai ginnico nei confronti della musica.  E la fascinazione verso la canzone d’autore. Un giorno sentii “Angela” di Tenco, tramite la madre della mia fidanzata dell’epoca, che mi disse che avevo un modo di cantare triste come il suo … siccome sono una persona curiosa, ho approfondito, ed è stato un vero e proprio colpo di fulmine! Riconoscevo un immaginario famigliare. Come Tenco raccontava l’amore, mi sembrava molto simile a come lo cantava Nick Cave, per cui ho iniziato a fare un percorso a ritroso, andando a scoprire cosa la canzone italiana avesse prodotto di interessante. Ho mantenuto il mio spirito post-punk, approfondito la conoscenza della canzone d’autore cercando di capire come la mia voce potesse convivere con questi due mondi distantissimi sulla carta, e come poter migliorare anche da un punto di vista interpretativo. Realizzando quanto sia importante lavorare sulle tonalità in maniera scientifica, perché solamente quando sei a tuo agio puoi performare al meglio. E poi l’altra cosa importantissima riguarda la consapevolizza che per interpretare una canzone di qualcun’altro devi cercare di mantenerne lo spirito originario ma cucirtela addosso come un abito sartoriale. Che deve sembrare uscita dalla tua penna. Sennò non è più arte. Sennò è karaoke. C’è una differenza abissale tra una cover e una versione. Sembrano due sinonimi, ma sono due universi completamente diversi. 

È appena uscito il vostro ultimo lavoro in studio. Oltre a trovarlo un concentrato di grande genio e raffinatezza sono rimasto particolarmente colpito da un paio di versi contenuti in “La Pioggia” e “Proteggimi da ciò che voglio”. Nel primo dici che 《…piove sulle strade, piove perfino sul mare, che non ha certo bisogno di farsi bagnare…》e nel brano che dà il titolo all’album reciti che 《…ci manca il tempo dell’attesa e del piacere…》. Ecco, la mia domanda ora è questa: cosa spinge un musicista come te ad esprimere la propria arte in questo momento storico dove sembrano aver la meglio prodotti mordi e fuggi e di facile consumo, privi a volte anche di bellezza? Quello che proponi bagna un mare apparentemente già saturo di contenuti. Cosa ti spinge quindi a dare il tuo (vostro) contributo a tratti “fin troppo” qualitativo? È una ricerca di piacere anche questa?
Ne parlavo in questi giorni con un’amica che lavora in un noto network radiofonico nazionale; mi ha scritto che da lei tutti in ufficio stavano dicendo che il nostro nuovo singolo è una figata pazzesca. Ma che non lo passeranno mai. E io le ho risposto: 
“perché è troppo colto, troppo socialista e troppo poetico. Semplice”. 
Ti dico, molto onestamente, dopo aver fatto un percorso in più di trent’anni, su un immaginario letterario preciso, sulla ricerca musicale, sull’espressione della mia voce, ti pare che possa andare a fare qualcosa che possa sputtanare la mia/nostra storia? 
Un conto è capire determinati meccanismi, un conto è l’autodistruzione 
E poi questo è quello che sappiamo fare, e non ci interessa fare altro. 
Quando abbiamo iniziato a lavorare a questo nuovo disco, spinti dal nostro fonico Marco Tagliola, ci siamo detti: “creiamo un Google Drive e ci buttiamo dentro testi, musiche, melodie, suggestioni e vediamo cosa succede. Se ne esce qualcosa di buono andiamo avanti, sennò non ne vale la pena per nessuno. 
Io sostanzialmente credo che se doveva esserci un ritorno dei La Crus questo doveva essere all’altezza, sennò niente. 
A noi interessava lasciare un’altra cosa bella lungo il nostro percorso. Punto. 
E non è una questione di snobismo ma di attitudine.

La tua voce e le tue interpretazioni ricordano incredibilmente uno dei cantautori più importanti e compianti della musica italiana: Luigi Tenco. Che rapporto hai con gli autori “classici” della musica italiana?
Il mio rapporto con questi autori è il rapporto che può avere un filosofo non so, ad esempio con Platone. Di assoluto rispetto. 
Hanno aperto la strada ad un altro modo di scrivere e concepire la musica e di conseguenza le tematiche delle, e nelle canzoni. Partendo da Modugno, quando ad un certo punto la canzonetta è diventata qualcos’altro. Un modo di raccontare le esperienze umane anche attraverso l’esistenza quotidiana, con le sue problematiche. 

Cosa pensi delle piattaforme digitali dedicate all’ascolto di musica e del rapporto che hanno con i musicisti? È una corrispondenza biunivoca o uno sfrutta più l’altro?
Dunque… devo essere molto sincero, ma non posso fare altro. 
La cosa non potrà mai essere completamente reciproca se tu come autore per ogni stream ricevi lo 0,00005 
Chi ci guadagna sono i proprietari delle piattaforme e le Majors che fanno un contratto forfettario su tutto il catalogo per qualche miliardo di dollari l’anno. 
E il paradosso è questo: secondo il presidente di Spotify, in una intervista di un paio di anni fa, disse che per essere sempre “hype” un’artista dovrebbe far uscire un pezzo ogni due settimane. Ma se tu mi dai la cifra che abbiamo detto, come posso permettermi di andare in studio, passarci almeno due o tre giorni, pagare fonico, musicisti, mixare il lavoro, masterizzarlo e tutto il resto? Poi è logico che i dischi te li fai a casa usando beat e programmi scaricati dalla rete che suoneranno tutti uguali perché se non ho soldi e tempo lo farò spendendo il meno possibile. 
Per un fruitore e appassionato di musica è una sorta di paradiso. Come si dice, usando la metafora biblica, una manna dal cielo.
Con 10€ al mese ti puoi sentire quasi tutta la musica che esce o che è uscita negli ultimi 70 anni. Per un artista, che vive di questo, un po’ meno. 

Voi che siete tra le prime band rock indipendenti degli anni ’90 cosa consigliereste ai gruppi di oggi che si accingono in questo mondo discografico (almeno in Italia) colmo di proposte trap, rap e simili? Esiste ancora la possibilità di proporre qualcosa che funzioni anche a livello di nicchia?
Di buttarsi dal Pirellone! 😉
Partiamo dal fatto che quando io ho iniziato ad appassionarmi alla musica, c’era una quantità enorme di ragazzi che suonavano. Le sale prove erano sempre così piene che facevi fatica a prenotarne una solo per un paio d’ore. 
Ora mi sembra che di base si faccia musica in casa con l’ausilio di una scheda audio e ciao. Non che non esistano più band, ma che il trend si stia sempre più spostando verso un’altra direzione. Non più musica per raccontare le proprie urgenze, ma per essere o sembrare il più figo possibile. Per avere più followers possibili. Quindi la musica non è più per essere ma per avere, citando il titolo di un famosissimo libro di Fromm. 
Però vale la pena, sempre, di andare là dove ti porta il cuore e dove ti portano i tuoi sogni… ma andarci armato perché devi combattere e navigare in un oceano internazionale che è la rete.
Il consiglio che posso dare è che alla fine, bisognerebbe fregarsene di tutto e di tutti e proporre le proprie cose, bypassando anche le realtà da terzo mondo come i Talent ad esempio. Siamo ad un livello di proposte talmente basso che hai visto mai, magari qualcosa di inaspettato arriva. Pur riconoscendo che tutto questo è molto difficile, lo è sempre stato, ma ora sicuramente lo è ancor di più.

L’ultima domanda, quella che si ripete in tutte le mie interviste: “l’Artista per me può definirsi tale perché vive sognando”. Qual’è il sogno di Mauro Ermanno Giovanardi e dei La Crus?
Se mi avessi fatto questa domanda qualche anno fa ti avrei detto che:
“sono un cantante mio malgrado, che da sempre avrebbe voluto fare lo storico, l’archeologo, l’antropologo. Che più di qualsiasi altra cosa avrei desiderato un abbonamento di 10 viaggi con la macchina del tempo”. 
Oggi, alla tua domanda, anche se con grande fatica, ti rispondo che …il mio sogno è che da domani si oscurassero tutti i social. Ma tutti tutti. Credo che il mondo sarebbe un posto migliore. 
Non che prima fosse stato tutto rosa e fiori, intendiamoci, la storia dell’uomo è fatta di vicende orrende, ma questo fenomeno chiamato social ha cambiato tutto. C’è così tanta e troppa frustrazione, cattiveria. Invidia. Vomitata quotidianamente che è diventata cronica.
Aveva ragione Umberto Eco quando diceva che le cazzate prima rimanevano dentro le mura dei Bar sport. Sante parole.
Anche io faccio parte di questo meccanismo purtroppo; d’altra parte se decidi di giocare, devi giocare, ma posso dire che non mi piace. Per niente. 
Rifuggo sempre la retorica della nostalgia, con tutti i mezzi, ma in questo caso dico che senza si stava meglio.

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