Autore: Stefano Luigi Cantoni
Mi sono imbattuto recentemente in una frase di Philip Roth, tratta dalla sua opera “Ho sposato un comunista”, secondo cui una delle più alte forme di trasgressione dell’era moderna è costituita dal pensare. A ragion veduta, leggendo queste poche parole, non posso nascondere di aver provato un ormai desueto brivido lungo la spina dorsale simile a un guanto di ghiaccio, delicato e al contempo snervante.
Un quadro oscuro ha cominciato, a poco a poco, a prendere forma dinanzi a me, rassomigliando sempre più a una realtà che non ho faticato troppo a riconoscere: il mondo in cui vivo, respiro, esisto. Un universo di sensi, colori, profumi e sapori che, alla stregua di un frullato estivo inebriante, cerca di trascinarmi verso il centro del vortice, per inglobare le mie spigolature nella perfezione sferica del tritatutto.
Nel dimenarmi riesco a farmi da parte per un istante, al riparo dal cicaleccio pavoneggiante dei primi della classe, riprendendo così un alito di fiato e una minima lucidità di analisi. Occorre fermarsi, alle volte, e pensare. Più o meno come suggerisce Roth. Non so voi, ma spesso mi è capitato di maledire il mio intelletto per non lasciarmi mai in pace (non che ne abbia da vendere, lungi da me siffatta supponenza, ma temo di non esserne nemmeno del tutto privo). Sì perché pensare, oltre a una delle più alte forme di ribellione moderna, è anche e soprattutto una perenne ed eterna maledizione.
Una condanna silenziosa e solitaria che ci impone un sentire fuori dal comune, un percepire il reale come qualcosa di storto, bello e al contempo imperfetto, sbilenco, dissonante. Tra i campi aridi dei se e dei ma e i fiumi ribollenti d’odio dei potrei si sono perse intere generazioni, che del pensare e della razionalità hanno fatto motivo stesso di vita.
Oh, povero Cartesio, che direbbe oggi? Il suo “Cogito ergo sum”, penso quindi esisto, che valore avrebbe nell’anno domini 2022? Probabilmente il nostro amico filosofo sarebbe in disperata ricerca di qualcosa che il pensiero glielo levasse o, quantomeno, sopisse. Non pensate male, però: non sono così disfattista, non ancora perlomeno.
In fondo al sacco è rimasta qualche briciola di speranza, tra il ciarpame rumoroso di capipopolo improvvisati e sedicenti dottori di scienza letterata che, incravattati e incipriati nei loro salotti asettici e tondi, fingono di trovare la soluzione agli unici nemici che i potenti temono davvero: i pochi uomini ancora liberi, il cui unico obiettivo è continuare a piangere, ridere, ricordare e sperare. In una parola, pensare.