Autore: Michele Larotonda
C’è Italo Calvino, c’è Dino Buzzati. Moravia, Sciascia, Eco e mi fermo qui perché la lista sarebbe infinita e questo articolo potrebbe finire già così.
Questo mio inizio è solo per evidenziare come in Italia abbiamo avuto autori con cui, per ragioni scolastiche o per ragioni di passione, tutti quanti noi ci siamo dovuti imbattere. Non dico che tutti abbiano letto tutto di tutti, ma alcuni dei nomi sopracitati saranno entrati nelle nostre case per amore e per sbaglio.
Eppure ci sono autori poco conosciuti che per diverse ragioni non sono entrati nel collettivo generale per diversi motivi. È il caso di Luciano Bianciardi, un autore la cui fama è legata al suo capolavoro La vita Agra, un opera dove l’autore parla di vita, di ossessione e di disintegrazione.
Questo articolo è un omaggio in occasione del centenario della sua nascita avvenuta a Grosseto il quattordici dicembre 1922.
L’estate è ormai alle spalle, ma per chi fosse capitato in Puglia dalle parti di Andria sa che si è tenuto una delle rassegne più curiose della nostra penisola, vale a dire il Festival della Disperazione, una manifestazione dedicata al sentimento più letterario che tutti noi autori, almeno una volta nella vita, abbiamo provato. Tra le tante figure che hanno preso parte c’è l’attore Vittorio Continelli che ha moderato un incontro dal titolo Non mi pagano abbastanza per leggere Pasolini, accontentatevi di Bianciardi.
Pasolini e Bianciardi condividono lo stesso anno di nascita, ma se sul primo si sa praticamente quasi tutto, sul secondo si sa poco o niente. Un gran peccato.
Per capire la grandezza di Luciano Bianciardi, vi è sufficiente sapere che nel 1962, quando uscì il suo capolavoro La vita Agra (tra l’altro scritto al Bar Jamaica a Milano), l’autore viene colto da un insperato successo al tal punto che Indro Montanelli lo contattò per chiedergli di collaborare al Corriere della Sera.
Luciano Bianciardi è il cantore della sconfitta, una sensazione vissuta sulla propria pelle , vissuta e affrontata fino in fondo. È il romanziere che ha rifiutato e detestato il successo, una condizione di accettazione che lo porta a vivere male ogni giorno della sua vita.
Per raccontare la storia narrata nel romanzo, Bianciardi decide che il protagonista non può essere un suo alter ego, ma piuttosto una sorta di anti-Bianciardi, un personaggio che Luciano non è mai diventato e che non diventerà mai. In una sola parola il protagonista del libro è un vincente e Bianciardi è consapevole che lui non lo è e non lo sarà mai. Un perdente anomalo, perché nonostante la sua convinzione, i suoi lavori hanno sempre ottenuto il successo che meritavano. Molti suoi scritti sono diventate sceneggiature cinematografiche. Eppure il successo non lo ha mai accettato.
Cosa spinge un autore a rifiutare vittorie e successi?
Cosa spinge un autore ad accettare vittorie successi?
Vittorie e successi sono condizioni tali da arrivare persino al suicidio? Un suicidio molto lento, consumato e ponderato bicchiere dopo bicchiere.
Bianciardi era consapevole di tutto questo e le risposte le ha riposte nelle righe dei suoi scritti. Racconti e romanzi difficili, colti che ti “sparano” la vita in faccia, senza usare sotterfugi letterari e frasi ad effetto.
Il mondo della cultura è feroce e Bianciardi l’ha raccontato in prima persona, senza sconti e in aperta polemica con tutto e tutti e forse è questa la sua colpa che lo ha relegato tra gli autori un po’ maudit che non vale la pena di essere ricordato tra gli autori principali della letteratura italiana.
Un vero peccato!