Autore: Stefano Luigi Cantoni
Nel novantesimo compleanno di Umberto Eco, scomparso a Milano sei anni orsono, mi sento in dovere di rendere un omaggio speciale a questo poliedrico ed immenso intellettuale, tra i più acuti e perspicaci uomini di cultura del nostro novecento e, nondimeno, precursore di tendenze e pensieri oltremodo attuali. Tutti, o quasi, conosciamo l’Eco narratore che, con “Il nome della rosa”, suo romanzo d’esordio nonché fortunato capolavoro ripreso in numerose salse cinematografiche, ha dato il via a un vero e proprio genere letterario: il giallo storico. La grandezza del “Professore” di Alessandria non si limitò esclusivamente alla sua mirabile abilità narrativa, alla sua cosciente e lucida costruzione dell’intreccio o alle sue raffinate e mai banali descrizioni impresse nelle pagine dei suoi fortunati romanzi. Eco è stato molto, ma molto di più. Estremamente legato alle radici e alle origini di quel Piemonte “falso e cortese” che gli diede i natali, assieme alla letteratura e alla filosofia, sue grandi ed intramontabili passioni, Umberto non ha mai nascosto al grande pubblico la sua vena “pop”, esprimendo vicinanza e stima nei confronti di modelli artistici e umani non convenzionali, quantomeno per un professore di semiotica e storia medievale come lui, confermando così la sua indole geniale ed estremamente moderna. Ma, in fin dei conti, cos’è che rende Umberto Eco così attuale ancora oggi? Forse, direi io, il fatto che amava tutto ciò che si distaccava dalla concezione borghese ed “esclusiva” della cultura, abbracciando l’ideale dell’umile riconoscenza per l’intelligenza ricevuta, anziché quello dell’arrogante apparenza dietro la quale non può che celarsi il vuoto dell’ignoranza. Umberto amava e, soprattutto, considerava in egual misura Aristotele e Pasolini, San Tommaso e Troisi, Cartesio e Fantozzi. E proprio il genio di Paolo Villaggio fu non solo oggetto di studio, ma anche e soprattutto fulcro di una nuova filosofia del moderno che Eco sviluppò in numerose sue discussioni universitarie in materia di cultura pop.
Ma fu con una delle sue grandi passioni, il fumetto, che il “Professore” sgretolò definitivamente la barriera mentale e formale dei luoghi del pensiero, rendendo ugualmente degni dell’eternità intellettuale tanto l’Iliade quanto Corto Maltese. Fu proprio quest’ultimo capolavoro grafico del compianto e geniale Hugo Pratt a far innamorare Eco del graphic novel, in cui sinuosità del disegno e velocità del messaggio si fondevano in un unicum mirabile e avventuroso, capace di creare mondi nei mondi, viaggi ai confini del reale, cosmi e microcosmi mai vissuti e tutti da esplorare. Umberto non ha mai nascosto, neppure in tarda età, la sua folle e irresistibile attrazione per i fumetti, a sua detta “sintomo di quanto di più popolare, sporco e veritiero l’animo umano possa comunicare”. In sintesi, l’essenza della cultura pop. E qui, cari amici, arriviamo alla grandezza senza confini di Eco: nella sua capacità di dar valore ad ogni singolo gesto artistico, ad ogni intenzione del pensiero che potesse esser poi tradotta in scritto, disegno, scultura o nota musicale. Famose le sue partecipazioni a trasmissioni televisive di attualità e costume, in cui la sua (auto) ironia faceva da contraltare alla superficiale approssimazione della cultura dell’immagine che lui stesso amava e, in qualche modo, aberrava. Si, perché Umberto (scusate la confidenza, ma per me è stato un amico, un mentore, un fratello) non solo ci ha insegnato quanto si può essere felici, ricchi e migliori attraverso la letteratura e i libri, meravigliosi strumenti per vivere numerose vite, ma anche e soprattutto quanto la cultura possa essere parte integrante e fondante delle nostre stesse vite, vestendo i panni dell’umiltà, dell’ironia e dell’inclusione. In pratica, il trionfo del POP.