ULTRAS ED ESTREMISMO DI DESTRA VERSO UN CONSENSO CRESCENTE: CHE FARE?

ULTRAS ED ESTREMISMO DI DESTRA VERSO UN CONSENSO CRESCENTE: CHE FARE?

Autore: Heiko H. Caimi

Immagine di Ivan Samkov

Il sondaggio condotto dalla Swg tra il 2 e 4 ottobre 2024 su un campione di 573 italiani appassionati di calcio,e pubblicato sulla Gazzetta dello Sport del 7 ottobre, evidenzia una sorprendente ammirazione per gli ultras, specialmente tra i giovani. Il 46% dei tifosi tra i 18 e i 34 anni afferma che gli ultras fanno sentire “parte di qualcosa di più grande”. Il 42% li vede come “garanti degli interessi dei tifosi” in un calcio dominato dal business. Nonostante le preoccupazioni per le connessioni con criminalità (81%) ed estremismo politico (84%), una parte significativa ritiene che queste siano “marginali” (47-48%).

Il rapporto tra ultras e club divide gli intervistati: il 31% propone un distacco totale, mentre il 40% opta per un dialogo limitato. La fascia più giovane è la più aperta, con il 52% dei 18-24enni favorevole a una relazione tra tifosi organizzati e società. Anche sul tema delle richieste degli ultras, i giovani sono in testa: il 64% del campione approva che essi siano coinvolti su questioni legate a storia e tradizione del club, mentre un 37% ritiene legittime persino richieste in ambito di calciomercato.

Il sondaggio evidenzia come molti giovani trovino nel mondo degli ultras un senso di appartenenza a “qualcosa di più grande”, un richiamo che riecheggia profondamente gli ideali che animavano i movimenti giovanili del fascismo e del nazismo, come i Balilla e la Hitlerjugend. Questi gruppi, così come le frange più radicali del tifo organizzato contemporaneo, offrono ai loro membri una forte identità collettiva, un senso di scopo e potere che trascende l’individualità.

Proprio tra i gruppi ultras, in particolare quelli delle tifoserie più estreme, vengono reclutati giovani per alimentare le fila dell’estremismo di destra in Italia: alcuni gruppi estremisti reclutano attivamente membri tra gli ultras più violenti e facinorosi. Organizzazioni come Forza Nuova e CasaPound sfruttano la passione e l’aggressività dei tifosi organizzati per ampliare le loro fila e diffondere le loro ideologie, spesso basate sul nazionalismo estremo, sulla xenofobia e l’intolleranza.

Le indagini della Procura di Milano rivelano inquietanti connessioni tra gli ultras di Inter e Milan e gruppi che richiedevano armi e campi di addestramento per prepararsi agli scontri con le opposte tifoserie o le forze dell’ordine. Questo atteggiamento militaristico, in cui “essere un gruppo militarmente forte è essenziale per acquisire rispetto ed autorevolezza”, richiama in modo sinistro le dinamiche delle organizzazioni paramilitari giovanili del passato, come le SA naziste o le squadre d’azione fasciste.

Proprio come nei regimi totalitari, dove i giovani venivano formati e addestrati per diventare soldati e cittadini devoti alla causa, oggi vediamo una simile struttura nelle frange estremiste del mondo ultras. L’adesione a gruppi violenti non è più solo una questione di tifo calcistico, ma si è trasformata in una forma di militanza paramilitare, alimentata da sentimenti di odio e dalla ricerca di potere. Non è un caso che i pm milanesi abbiano riportato come l’organizzazione di scontri e la capacità di imporsi con la forza fisica siano elementi centrali nella mentalità ultras. Essere parte di un gruppo militarmente addestrato e preparato a usare la violenza non solo garantisce l’appartenenza a un’élite, ma diventa anche uno strumento di controllo del territorio e di acquisizione di potere.

Come accadeva per i Balilla e la Hitlerjugend, anche gli ultras sfruttano l’idea che un gruppo possa rappresentare qualcosa di più grande dell’individuo, un ideale che giustifica la violenza e la sottomissione alle regole comuni. È questa stessa dinamica che rende fertile il terreno per il reclutamento di estremisti di destra tra le fila degli ultras, un fenomeno che va ben oltre la tifoseria e che alimenta una mentalità eversiva molto pericolosa. Proprio come nei regimi del passato, infatti, l’educazione alla violenza e la ricerca di un’identità attraverso lo scontro con l’altro diventano strumenti di potere e di controllo, non solo negli stadi ma anche nelle strade.

Il fascino di appartenere a un gruppo che “fa sentire parte di qualcosa di più grande” continua a essere pericolosamente attuale. Come hanno dimostrato i pm di Milano, gli ultras e gli estremisti si nutrono della stessa mentalità che, nel corso del XX secolo, portò alle più grandi tragedie della storia europea. Le strutture e le dinamiche di potere rimangono immutabili: l’obbedienza cieca, l’addestramento militare, la violenza giustificata e il senso di superiorità rispetto agli altri continuano a trovare terreno fertile tra coloro che vedono nell’identità collettiva una via d’uscita dall’insignificanza individuale.

Davanti a questo fenomeno, dovremmo interrogarci su come affrontare una realtà esplosiva come questa. Le connivenze tra il governo e gli ambienti più estremi, benché non sempre provate in modo diretto, sono evidenti: il silenzio o l’indifferenza verso episodi di violenza organizzata, i legami con figure dell’estremismo di destra e la retorica che favorisce la divisione piuttosto che l’integrazione alimentano questi fenomeni.

Servirebbe un movimento civile forte che invochi un’inversione nelle politiche di sicurezza e di educazione culturale, che promuova inclusione e rispetto reciproco, che respinga senza esitazione ogni tentativo di sfruttare le paure collettive per guadagnare consenso. Solo così si può sperare di spezzare l’influenza di questi ambienti criminali e porre un freno all’ascesa di ideologie xenofobe e antidemocratiche.

Purtroppo la possibilità di unire i cittadini oggi è sempre più remota, con una maggioranza della popolazione che sembra aver ormai adottato il motto “ognun per sé e Dio per tutti”: un segnale chiaro del crescente individualismo che pervade la nostra società. La frammentazione sociale, alimentata da un’economia precaria, la polarizzazione politica e l’isolamento digitale, rendono difficile costruire un senso di comunità coesa e condivisa. I cittadini sono spesso più inclini a difendere i propri interessi immediati, piuttosto che cercare soluzioni collettive a problemi complessi come l’estremismo o la violenza organizzata.

In questo contesto, è comprensibile essere scettici sulla possibilità di contrastare fenomeni come quelli legati agli ultras e agli estremisti, che fanno leva proprio sul desiderio di appartenenza in individui che si sentono marginalizzati. Paradossalmente, il richiamo dell’identità collettiva è forte proprio in questi gruppi, perché sembra offrire uno scopo e un senso di solidarietà che la società nel suo complesso fatica a fornire.

Tuttavia, sebbene la sfida sia enorme, la storia insegna che movimenti sociali ben organizzati, basati su ideali di inclusione e giustizia sociale, sono riusciti a superare ondate di individualismo e disgregazione. La chiave potrebbe risiedere nella ricostruzione di un dialogo sociale e culturale che ponga l’accento sulla cooperazione e sulla partecipazione attiva dei cittadini, partendo da piccoli passi concreti. Promuovere una consapevolezza critica, educare alla cittadinanza e ripensare il concetto di comunità sono strumenti essenziali per contrastare questa deriva.

Resta, comunque, una strada in salita, e la sfida è aperta: trovare un modo per risvegliare quel senso di responsabilità collettiva che troppo spesso sembra dimenticato e che nei decenni ha completamente sgretolato i nostri diritti.