SCRIVERE E’ UNA QUESTIONE DI MANIE

SCRIVERE E’ UNA QUESTIONE DI MANIE

Autore: Stefano Luigi Cantoni

Sono sempre più convinto che scrivere sia una questione di manie e abitudini, oltre che di passione e ispirazione. Andrea Camilleri, ad esempio, senza birra e sigaretta non si sedeva nemmeno ai suoi due tavoli da lavoro, e Truman Capote se sentiva parlare del numero 13 o lo vedeva da qualche parte, spariva dalla circolazione.

Strani forte, questi scrittori: Gabriel Garcia Marquez scriveva dalle 8 del mattino ma, a sua detta, solo alle 13 arrivava a una quadra del tutto, o perlomeno a un apice emotivo e concettuale degno di esser ricordato innanzitutto da lui. Un premio all’umiltà, a uno degli autori più profondi e imitati della letteratura moderna.

E che dovremmo dire poi di Ernest Hemingway, che scriveva addirittura in piedi? Usanza bizzarra, ma non troppo, considerando che anche Virginia Woolf e Philip Roth ne erano accaniti seguaci. Tutto il contrario di Mark Twain che, invece, era solito produrre direttamente sdraiato sul letto, alla stregua di George Orwell e Marcel Proust. 

Scrittura orizzontale, verticale, diagonale, obliqua: ogni posizione che faccia scaturire qualcosa da segnare per sempre sulla carta è buona e lo sa benissimo anche Dan Brown che, in pieno effetto sorpresa, si posiziona spesso a testa in giù per combattere il blocco dello scrittore: un pochino di sangue al cervello e la penna torna a ruggire.

Ma questo è ancora nulla, perché un “certo” Victor Hugo, per riuscire a imprimere qualcosa che restasse nel tempo (e direi che come gli altri ci è riuscito eccome), doveva essere categoricamente nudo: solo una coperta a velarne l’intimità, per il trionfo di una scrittura per così dire “en plein air”.

Insomma, ‘sti matti di scrittori e romanzieri ne hanno avuto davvero per tutti i gusti: dai mille caffè mattutini di Honorè de Balzac alle stecche di cioccolato croccante di Carofiglio, passando per i colori stravaganti con cui Alexandre Dumas scriveva i suoi diversi capolavori in base al genere. 

Piuttosto singolare fu anche Vladimir Nabokov il quale diede vita a Lolita e ad altri capolavori scrivendo il testo su alcuni bigliettini che spargeva per casa, persino sotto il cuscino: per lui la storia doveva fluire in modo naturale, quasi casuale, a guisa di fiume in piena non controllabile. 

Una totale dedizione alla scrittura, dunque, quella che ha coinvolto moltissime penne d’autore ma anche quella che tocca noi poveri, umili scrittori emergenti. La sola differenza è che se io girassi nudo chiamerebbero la neuro e che se scrivessi a testa in giù chiamerebbero l’ambulanza, ma a parte questi due dettagli credo che alle altre stranezze posso ambire senza alcun problema.

Il fatto, battute a parte, è che manie e paturnie fanno parte di noi, del nostro essere, del nostro viverci e vederci un tutt’uno con l’opera che stiamo per partorire. Senza di esse, probabilmente, saremmo esseri perfetti ma, di certo, non scrittori che dell’imperfezione fanno la loro più grande fonte di ispirazione.