Autore: Heiko H. Caimi
Il dibattito sullo scongelamento degli asset finanziari russi per rifinanziare il campo di battaglia ucraino.
Mentre il conflitto in Ucraina continua a mettere a dura prova sia il suo esercito che la stabilità finanziaria europea, viene riproposta una strategia che era già stata accantonata per utilizzare i fondi russi congelati. Chiamata “Freeze and Seize” (letteralmente “Congela e Confisca”), questa controversa proposta suggerisce di utilizzare i cospicui asset russi bloccati presso le banche europee e americane come arma finanziaria contro Mosca.
Al centro di questo dibattito si pone la domanda: chi trarrebbe beneficio dall’utilizzo di questi fondi? Lo spettro di una guerra prolungata e devastante spinge le potenze occidentali a esplorare vie non convenzionali di finanziamento della guerra, dopo aver già dato fondo ai bilanci nazionali. Entra in gioco la possibilità di attingere alle riserve finanziarie russe, attualmente “congelate” come parte del regime delle sanzioni. Le recenti discussioni presso il FMI (Fondo Monetario Internazionale) e la Banca Mondiale indicano un rinnovato interesse nell’utilizzo di questi asset, sia direttamente come capitale, sia indirettamente come proventi dai depositi bancari. Con circa 300 miliardi di euro in gioco, distribuiti principalmente in Europa (per due terzi) e negli Stati Uniti e comprendenti sia fondi privati sia sovrani, il potenziale per il loro impiego strategico è considerevole.
L’Occidente, consapevole delle ramificazioni di un conflitto prolungato, considera di sfruttare questi asset congelati per sostenere gli sforzi militari dell’Ucraina, ridirigendo una parte significativa di questi fondi per rafforzare le capacità di difesa e offesa dell’Ucraina.
Tuttavia, al di sotto della superficie di questa proposta apparentemente semplice, infuria un dibattito acceso sui meriti dell’accesso a questi fondi. Mentre Washington sostiene l’utilizzo europeo, posizionandoli come difensori di prima linea contro l’aggressione russa, emergono preoccupazioni riguardanti la legalità e le conseguenze di tali azioni.
I più critici avvertono che l’approccio “Freeze and Seize” rischia non solo di invitare misure finanziarie di ritorsione da parte di Mosca, ma anche di minare l’ordine legale internazionale. Accedere arbitrariamente a fondi esteri, soprattutto sovrani, potrebbe creare un pericoloso precedente e provocare battaglie legali imprevedibili. Inoltre, la BCE (Banca Centrale Europea) esprime preoccupazione, evidenziando gli effetti destabilizzanti che tali azioni potrebbero avere sull’euro e sulla stabilità finanziaria europea.
Alla luce di queste considerazioni, emerge un’opposizione crescente alla strategia proposta dagli Stati Uniti, con la Banca Centrale Europea che manifesta riluttanza a sostenerla. Il potenziale per misure di ritorsione e l’erosione della credibilità finanziaria superano i vantaggi a breve termine derivanti dall’accesso agli asset russi.
Mentre gli Stati Uniti hanno utilizzato tattiche simili in passato, confiscando ad esempio asset della banca centrale afghana nel 2022, le circostanze sono significativamente diverse. A differenza del coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto afghano, l’Europa si trova messa sotto pressione nel sostenere l’onere pur non essendo formalmente coinvolta in maniera diretta nella guerra ucraina. Una reazione russa potrebbe non solo essere ritenuta giustificata, ma potrebbe non limitarsi alla finanza, coinvolgendoci in maniera definitiva in una guerra che Stati Uniti e Nato continuano pericolosamente a fomentare, ma che si svolgerebbe sul campo europeo.
La strategia “Freeze and Seize” ha implicazioni geopolitiche che risuonano ben oltre il campo di battaglia ucraino. Mentre l’Europa lotta con la scelta tra pragmatismo finanziario e integrità legale, il dibattito sottolinea l’equilibrio delicato tra imperativi strategici e norme internazionali in un mondo sempre più incerto. E noi europei rischiamo, ancora una volta, di trovarci dalla parte sbagliata dei cannoni.