Autore: Michele Larotonda
“Tre anni? Michia tre anni!”. Nel film Mediterraneo, era sicuramente una battuta che faceva ridere e che è entrata nell’immaginario collettivo. Tre anni però oggi, sono sinonimo di pandemia e, ultimamente, di guerra. Dovevamo ripartire, ma siamo ancora, di nuovo, fermi.Tengo a precisare che mi sono vaccinato perché credo nella scienza e credo nella ricerca, ma a differenza della maggior parte delle persone conosciute, incontrato o parlato, non ho nulla contro chi ha scelto di non vaccinarsi (chiamarli no-va è discriminatorio). loro non sono il nemico, perché alcuni di loro, prima della pandemia, erano i tuoi amici, persone per cui avresti dato un braccio. E ora? Quello che abbiamo vissuto in tre anni, non è stata, come avevano pre annunciato, un nuovo inizio, un ‘occasione persa per tornare a volersi bene, ad abbracciarci con vero sentimento e non per convenzioni secolari. Piuttosto è stata l’occasione per scoprire chi non la pensava come te e questa scoperta ci dava il diritto di giudicare, criticare, litigare ed annientare. Ho conosciuto persone estremamente tolleranti, diventare cinici, sospettosi e pronti a criticare. Ho visto gente estremamente attente ad usare mascherine, gel disinfettanti, mantenere distanze e limitare contatti per poi ammalarsi ugualmente. Varianti dalle lettere greche non hanno fato altro che aumentare le distanze emotive e infine il tanto famigerato green pass (di cui sono possessore) che solo in Italia continuiamo a mantenere ben sapendo che non serve a niente se non ad etichettare e discriminare. Negli ultimi tempi, le cose sembrano cominciare a migliorare e mentre si comincia, quasi, a tornare alla vita di sempre, ci ha pensato Vladimir Putin a rimetterci nella merda.Dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, la parola guerra è stata ripetuta più volte, a volte era più sulla carta (basi pensare alla guerra fredda), altre volte si è manifestata contro nemici abbastanza lontani (Iraq, Somalia, Afghanistan) da non preoccuparci per la nostra incolumità. Questa volta è diverso, quando il 24 febbraio la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina, si è tornato a sentire parole come terza guerra mondiale e guerra nucleare. Per la prima volta, dopo tanti anni, lo spettro del conflitto è tornato in Europa e, ancora oggi, non sappiamo quando, se e come finirà. Non sto dando ragione a nessuno, ognuno dei due schieramenti ha torti e ragioni, ma in un caso o in un altro, la guerra, l’invasione, la prevaricazione va condannata a prescindere.Non era bastata la pandemia, non era bastato vedere i supermercati vuoti, adesso avremo ripercussioni sulla benzina, sul gas, sul riscaldamento. Sono tre anni che combattiamo silenziosamente, tre anni che subiamo, tre anni che raccontiamo la favola ai nostri figli che andrà tutto bene, che torneremo a volare, che torneremo ad abbracciarci. Per quella della mia generazione, la guerra l’abbiamo sentita raccontare dai nostri nonni, l’abbiamo studiata sui libri di storia. Invece i nostri figli, i nostri custodi del domani, cosa racconteranno alle generazioni del futuro? Che la scuola era stata chiusa e che avevano trovato nella DAD un surrogato della buona istruzione? Che la guerra, le immagini dei bombardamenti, le immagini delle persone in fuga non erano certo finte, immagini di un film? Che si moriva e si moriva davvero. E’ triste pensare o comunque avere la quasi consapevolezza che le manifestazioni, i sit-in, le occupazioni dei licei non serviranno a nulla. Basti pensare alle manifestazioni contro i vaccini, contro il green pass, hanno cambiato qualcosa? I gilet gialli in Francia hanno fatto cadere Macron? Si dice che il popolo è sovrano, che è la vera forza di un paese, ma sono bastati solo tre anni per toglierci anche questo. E adesso? Questa volta proprio non lo so.