Autore: Gianluigi Chiaserotti
In questi giorni, mio figlio Carlo Alberto ha terminato la Scuola Secondaria di Primo Grado (comunemente detta Scuola Media) superando l’Esame di Stato.
Per l’esame di Italiano ha voluto portare ed ha quindi scelto il sonetto “A Zacinto” di Ugo Foscolo.
Il ripasso e l’analisi di questo sonetto con lui, mi ha dato lo spunto per questo mio breve pezzo, che poi sono piacevoli reminiscenze scolastiche.
Non voglio assolutamente spiegare e commentare questa poesia, ma solo porre in risalto le tematiche contenute e care all’autore, come l’amore per la patria e l’ulissismo.
Ecco i versi:
«Nè più mai tocchero le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fèà quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque.
cantò fatali, ed il diverso esiglio,
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra, a noi prescrisse
il fatto illacrimata sepoltura.».
Zacinto, oggi Zante, è una delle isole greche che si trovano nel mar Ionio.
La poesia “A Zacinto” è un vero, proprio particolare inno d’amore alla terra dove il poeta nacque nel 1778.
E’ un canto di struggente nostalgia, il lamento doloroso dell’esule con il presentimento che la morte lo coglierà lontano da Zacinto e quindi lontano dall’Italia.
Il dolore dell’esilio, tema foscoliano per eccellenza, anima il ritmo inquieto di questo sonetto che Foscolo compose negli ultimi mesi del 1802 e nei primi del 1803.
Quello che contiene il sonetto è certamente il canzoniere più breve della letteratura italiana, poiché conta appena dodici sonetti e due odi.
Solo quattro di questi dodici sonetti, quelli cioè c. d. “sepolcrali” (ossia “In morte del fratello Giovanni”, “Alla sera”, “A Zacinto” e “Alla Musa”), raggiungono complessità tematiche e piena maturità espressiva dell’autore.
Questi temi – che richiamano senza dubbio anche le “Ultime lettere di Jacopo Ortis” – sono sempre stati il centro creativo, espressivo e letterario del Foscolo, che era spesso sopraffatto dalla tensione di voler dire e da una volontà espressiva talmente forte che rischiava di soffocare il suo canto. Forse il voler dire era superiore alla possibilità espressiva di cui il giovane Foscolo disponeva; e questo forse spiega l’esigua produzione lirica e i tanti progetti lasciati incompiuti dall’autore.
Altro tema interessante della poesia è poi la sottile messa in evidenza dei due modelli poetici di Foscolo: Omero e Dante.
Foscolo, deluso storicamente da quella patria che non riusciva a formarsi, senza rinnegare la grandezza dantesca, guarda però ancora più indietro e glorifica al suo posto il padre della cultura occidentale, il leggendario poeta Omero, cui dedicherà il commosso finale del carme “Dei sepolcri”. Omero narra dell’eroe cercatore per eccellenza, il ramingo Ulisse, cui Foscolo si sente legato per il comune destino di sventura, e per la ricerca di pace e per il desiderio di rivedere la patria.
Quindi, traditi gli ideali democratici e di libertà, compiuti da Napoleone, ed il conseguente esito mortale della Repubblica di Venezia, Foscolo cominciò a ragionare che la patria degli italiani doveva essere l’intero territorio dell’Italia.
Le divisioni che esistevano allora fra gli stati regionali della nostra Penisola, pensava Foscolo, non erano assolutamente divisioni fra nazioni diverse, ma solo, esclusivamente e meramente politiche e territoriali all’interno di una stessa nazione, quella italiana appunto.
E qui Ugo Foscolo è il naturale precursore del Risorgimento, come lo fu Dante Aligheri con il suo “De vulgari eloquentia” ed altro nella “Commedia”, e quindi Alessandro Manzoni con il suo “Marzo 1821”.
La nazione e la patria degli Italiani era una sola: l’Italia, che doveva essere semplicemente unita e quindi formare a ciò il popolo: gli Italiani.
A quel punto amare il proprio luogo natale (Zacinto) significava amare tutta l’Italia e viceversa l’amore per la Patria (Italia) significava amare anche la patria nativa.
Il Foscolo, agnostico e pessimista e quasi materialista, fu, con eloquente contradizione, un limpido assertore della storicità; ne già di erudizioni, aneddoti o tanto meno esempi storici, ma proprio di storia oggettiva e sostanziale, e richiamò gli italiani alle storie, e volle che anche codeste, come la poesia ed il giudicar di poesia penetrassero nel cuore e nella coscienza degli italiani, e lui stesso cercò di dare un esempio.
E tuttavia la pace che il nostro sonetto rivela, arriverà per Foscolo solo con la morte e sarà proprio il suo canto a sopravvivergli.
L’esilio poi segnava la perdita di un’altra delle illusioni foscoliane, come dicevo poc’anzi: la patria, il senso vero di appartenenza ad una nazione, e quindi la difesa assoluta della sua identità poetica e spirituale. Zacinto è come la tomba di queste speranze «ove il mio corpo fanciulletto giacque», recita il poeta, utilizzando un verbo che ricorda in modo quasi esplicito la morte. La somiglianza con l’eroe omerico è fantasticamente grande, anche per la presenza delle «rive bagnate dalla luce» che ricordano le «sacre sponde» del sonetto, e per la presenza della similitudine col marinaio che è un’apposizione di Ulisse, oltre che espressione vicina alle «acque fatali».
Venere, all’inizio della seconda quartina, riveste una rilevanza tematica decisiva: ella è amore, bellezza, grazia, sorge dal mare e rende fertili con il suo sorriso tutte le terre. Ed è qui che si scorge l’eco di Lucrezio, del suo proemio al “De rerum natura”, in cui la dea «genitrice degli Eneadi» altro non è che simbolo dell’istinto vitale che anima ogni essere vivente.
In Zacinto, vagheggiata, cantata, bramata, sembrano concentrarsi tutte le illusioni di Foscolo, come si trattasse del riparo felice della sua adolescenza perduta e delle sue perdute speranze.
Il paragone con Ulisse sembra quasi un obbligo: entrambi sono raminghi, vagano di terra in terra, senza trovare pace, perdendo anzi quasi la speranza del giorno in cui torneranno; ma solo Ulisse torna. Foscolo invece intuisce che morirà in terra straniera, lontano dalla madrepatria.
Il componimento mostra alcune caratteristiche:
A) Schema classico, che però dissolve la ritmica tradizionale dei sonetti che volevano la coincidenza di periodi sintattici e strofe;
B) presenza di figure retoriche, tra cui allitterazione, apostrofe, sineddoche, ossimoro, litote
Questo sonetto è formato da quattro strofe (due terzine e due quartine) per un totale di quattordici versi. Le prime tre strofe creano un unico periodo, la cui sintassi presenta inversioni e frasi intersecate che simboleggiano l’abbondanza di sentimento del poeta difficile da disciplinare. È presente anche la figura retorica della litote, cioè la doppia negazione, in “non tacque”. Tutte le scelte stilistiche non sono casuali ma sono mirate a mostrare la confusione del sentimento intimo dell’autore.
Lo schema metrico è “ABAB – ABAB – CDE – CED”.
Nella divisione in sillabe, in alcune occasioni viene utilizzata la sinalefe.
Non comprendo se stavolta sono stato effettivamente “pop”, ma credo che ricordare i nostri studi, celebrare in modo aulico la nostra Nazione, la nostra Libertà raggiunta con sacrifici ed inutili guerre, potrebbe anche esserlo.