Autore: Stefano Luigi Cantoni
Ah, le recensioni! Slancio imprescindibile verso il raggiungimento della gloria imperitura e, al tempo stesso, pericolosissimo strapiombo in direzione del più cupo dimenticatoio letterario: chiunque scriva non può esimersi dal parere dei lettori che, non di rado, sono anche “colleghi”.
Richiamando un mio recente articolo sull’ansia da pubblicazione, non posso che rincarare la dose aggiungendo anche una (non auspicabile) “ansia da recensione”: una vera e propria ossessione, figlia della stessa fisica necessità di essere apprezzati dal pubblico.
Recensioni per superare il primo step, recensioni per confermarsi, recensioni per svoltare addirittura la propria vita: non c’è che dire, dai pareri può passare un’intera carriera, persino un’esistenza, specie se essa coincide con il sogno di fare della scrittura la propria mission.
Ciò che mi chiedo è se al giorno d’oggi, al netto di tutto, valga davvero la pena di crucciarsi per una recensione. Possibile che poche e spesso distratte righe siano in grado di destabilizzare un ego in apparenza forte e stabile come quello di uno scrittore?
Recensire non è lavoro adatto a tutti, anzi lo definirei un mestiere arduo, ostico e oltremodo spinoso, a partire da quelle due paroline magiche che, troppo poco, ritrovo nel (mal) variegato mondo editoriale: onestà intellettuale.
Leccate di posteriore, salamelecchi, plausi vuoti e facce (o, meglio, penne) accondiscendenti inquinano quel poco di obiettività che ci resta: contro l’appiattimento occorre schierarsi, prendere posizione, dire la propria (soprattutto se, come spesso accade, l’opera da recensire è quantomeno “rivedibile”.)
Ma siccome, nonostante la crudeltà e l’egoismo propri dell’essere umano, sotto sotto vi è ancora speranza per un mondo migliore (giuro che di secondo nome non faccio Pangloss…), in parecchi hanno optato per una accettabile e appiattita conformità di linguaggio che, partendo dalla scrittura, non può che arrivare alla recensione.
Non vorrete mica che il nostro scrittore, spintosi ormai nell’alto dei cieli come un moderno Icaro e ammantato di quell’azzurro-bianco proprio solo del divino, possa crollare a peso morto per una recensione negativa, polverizzandosi al suolo come il più indegno degli scribacchini!
Un po’ di cuore, amici miei: producete ordunque recensioni accomodanti, segnate nero su bianco parole ridondanti ed elargite complimenti a manciate. Non troppi, badate bene, l’importante è che essi siano convincenti: sia mai che, salvando un “collega” da una probabile damnatio memoriae, egli (ego permettendo) ci restituisca il favore, salvandoci così dalla più atroce minaccia dell’era moderna: la normalità.