QUELL’INSANO TOCCO DI DEPRESSIONE

QUELL’INSANO TOCCO DI DEPRESSIONE

Autore: Antony Russo

Non la sento mai giungere, nemmeno sogna di avvisarmi prima di ogni visita.

Avanza con crudele ed impercettibile lentezza, ma non sempre. A volte piomba inesorabile, improvvisa e soffocante.

Non so se sia depressione, qualcuno l’ha definita così mentre ne raccontavo i sintomi. L’unica cosa certa è come mi sento, ciò che provo e come percepisco quanto ho dentro e quel che mi circonda.

Non sempre è legata a qualche accadimento, ma è capace di giungere persino in un momento di piena felicità.

La luce che irradia il mondo d’improvviso inizia a ingrigirsi. All’inizio è un fenomeno quasi impercettibile, perché colpisce soltanto i contorni del campo visivo, per poi invadere qualunque cosa.

L’assenza di colore è sempre in buona compagnia, portandosi dietro quella dannata tristezza. Una beffarda malinconia capace di inghiottire qualsiasi pensiero mi abbia reso felice fino a pochi istanti prima o, che giunto in concomitanza con questo nuovo stato d’animo, sia un potenziale generatore di contentezza.

Mi ritrovo, pertanto, senza energie a forzarmi per compiere qualsiasi gesto, anche il più banale, o qualsiasi attività. Potrei benissimo farne a meno, visto l’affaticamento fisico accompagnato dalla totale perdita di ogni interesse o piacere per ogni cosa.  

Inizia a pesarmi persino il singolo passo fatto o il semplice alzarmi dal divano e poi per quale motivo dovrei farlo? Inizio a pensare. Persino il cibo perde di gusto esattamente come qualsiasi fragranza non riesce a incantar più il mio olfatto.

Per quanto il mangiare abbia la consistenza del polistirolo non riesco a fermarmi dal mettere in bocca qualcosa, come se volessi costringere  il mio gusto a risvegliarsi. Abbuffarsi è qualcosa che mi ha tenuto compagnia per così tanto tempo, che pare sia l’abbraccio caldo di un vecchio amico. In questo stato aumento inesorabilmente di peso, al contrario di quei momenti nevrotici in cui mangio poco o, anche se mangio tanto, sembra che il mio metabolismo riesca a bruciare tutto ciò che caccio dentro al mio corpo.

Nonostante sopraggiunga quella spossante stanchezza perenne non c’è verso di addormentarmi la notte. Le ore di insonnia aumentano assieme ai vorticosi pensieri che, incessanti, affollano il mio cervello. I sensi di colpa per qualsiasi cosa io abbia fatto, anche laddove ho sempre saputo di non aver fatto alcun torto, accrescano i sentimenti autosvalutazione che durante il giorno soverchiano già il mio animo. Durante il giorno avrei voglia di dormire ovunque, laddove non possa farlo, soggiogato dalla spossatezza notturna.

Non sono in grado di far nulla, sono una persona cattiva e senza alcun valore, nessuno mi vuole, tutti se ne vanno. Questo mantra si ripete minuto dopo minuto, in una danza mortifera. Mi chiudo in me stesso ed evito contatti esterni, giacché riesco a tollerare la vicinanza di pochissimi individui.

E poi, quando parlano difficilmente riesco ad ascoltarli, perché non ho la capacità di concentrarmi su un solo pensiero, perché non posso ascoltare quanto mi viene detto, perché sono troppo impegnato a far chiarezza dentro di me.

Esattamente come non posso impedire mi colga, devo attendere che, con il proprio comodo, decida di lasciarmi indenne. Non sono piacevoli, nemmeno, i momenti in cui vivo lo stato d’animo opposto, solo i periodi di passaggio che come primavera ed autunno, sembrano serbare l’ingresso al grande inverno o alla soleggiata estate.

Non mi resta che immaginarmi come un marinaio: devo riuscire a tenere la barca, qualunque sia il tempo. Cavalcare le onde con tutti gli strumenti a mia disposizione, fino a diventarne maestro: magari sulle orme della scrittura.