PERCHE’ UMBERTO ECO E’ POP

PERCHE’ UMBERTO ECO E’ POP

Autore: Michele Larotonda

Quello che segue è un estratto di Apocalittici e Integrati di Umberto Eco, dove è lo stesso autore che spiega perché la cultura pop (o pop culture) è così importante.

SPETT.UMBERTO ECO A NAPOLI (SUD FOTO SERGIO SIANO)

Come nasce Apocalittici? I fenomeni di costume, la cultura popolare, il

romanzo poliziesco, il fumetto erano vecchie passioni mie. Solo che vi dedicavo

articoli di giornale e pezzi ‘divertenti’ come quelli di Diario minimo, che allora

pubblicavo su Il Verri. Nel 1959 vi scrivevo una ‘Estetica dei parenti poveri’ in

cui elencavo, col tono di chi dice paradossi, tra le ricerche possibili: evoluzione

del tratto grafico da Flash Gordon a Dick Tracy; esistenzialismo e Peanuts;

gesto e onomatopea nel fumetto; schemi standard di situazioni narrative;

influenza dell’eco magnetica nell’evoluzione della vocalità dopo i Platters; uso

estetico del telefono; estetica della partita di calcio. Su tutti questi temi ora sono

stati scritti dei libri. Uno, quello sulle situazioni standard, era stato scritto tanti

anni prima da Propp, ma io nel 1959 non lo sapevo.

“Sui problemi della televisione avevo già fatto una comunicazione al congresso

internazionale di estetica del 1956, sui personaggi ‘topici’ della narrativa

popolare avevo scritto sulla Rivista di Estetica nel 1958. Ma erano tutti interessi

marginali. Piuttosto ero stato stimolato da un libro che rifiutavo in blocco ma

che resterà il bersaglio palese o occulto di Apocalittici: ed era L’eclissi

dell’intellettuale di Elémire Zolla. In fondo, sia pure in negativo, aveva aperto in

Italia il discorso sulla cultura di massa.

“Credo però che la rivelazione mi sia venuta tra il 1961 e l’inizio del 1962.

Invitato a partecipare al simposio su demitizzazione e immagine da Enrico

Castelli, presso l’Istituto di Studi Filosofici di Roma, mi preoccupo perché vi

parteciperanno mitologi illustri come Kerényi, studiosi di ermeneutica filosofica

come Ricoeur, teologi protestanti, storici delle religioni, gesuiti e domenicani,

filosofi in ordine sparso. Che gli dico? Penso che il problema del mito e

dell’immagine non è soltanto un appannaggio delle epoche primitive e classiche.

Ho in un armadio due o trecento copie degli albi originali con le storie a colori

di Superman e penso che in fondo è un mito del nostro tempo, non esprime una

religione ma una ideologia… Insomma, arrivo a Roma e inizio la relazione

posando sul tavolo la mia pila di fumetti di Superman. Che faranno, mi

cacciano? Nossignore, mi scompaiono metà dei fumetti, vuoi vedere che con

l’aria di esaminarli, quegli abati con le maniche larghe li fanno sparire come

niente? A parte questo (che era un segno del cielo) ne nasce una discussione e

mi convinco che il tema è da riprendere.

“E proprio in quell’anno leggo L’esprit du temps di Edgar Morin, il quale dice

che per poter analizzare la cultura di massa bisogna segretamente divertirvicisi,

non puoi parlare del juke box se ti fa schifo infilarci la monetina… Perché

allora non usare i miei fumetti e i miei libri come oggetto di lavoro?