Autore: Lorenzo Grazzi
Mettetevi comodi perché oggi si parla di un tema molto importante: l’alimentazione.
“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” dicevano già in tempi non sospetti i Greci, a sottolineare che ciò di cui ci nutriamo è qualcosa che diventa parte di noi stessi e le nostre preferenze culinarie sono in grado di definirci.
L’uomo del XXI secolo è attento alla forma fisica, si preoccupa di eliminare i grassi e gli zuccheri in eccesso, di integrare la dieta con la giusta dose di verdura, frutta e cereali, ma siamo sicuri che, nell’epoca in cui parliamo con i soprammobili come fossero camerieri, l’alimentazione abbia davvero la giusta attenzione?
L’UE ha dato il via libera di recente all’utilizzo della farina di grilli all’interno dei propri confini a patto che sia dichiarata tra gli ingredienti; non c’è neanche da dire che è scoppiato il finimondo tra i consumatori italiani che, di mangiare insetti, proprio non né hanno voglia!
Ma la questione è molto più complicata di quanto appare e richiede la collaborazione (e la presa di posizione) del consumatore finale, l’unico che attraverso le proprie scelte è in grado di indirizzare il mercato.
La farina d’insetto è una farina a basso costo produttivo e dall’alto valore proteico, proprio quelle proteine di cui chi fa sport va in caccia con integratori di origine chimica (e mi chiedo se qualcuno si sia mai preso la briga di leggere o tentare di capire tutte quelle sigle riportate tra gli ingredienti); gli insetti sono anche alimento convenzionale nelle cucine asiatiche che vantano il maggior numero di centenari del pianeta (certo la genetica fa la sua parte, ma forse la farina d’insetto non è così pericolosa per la salute).
Purtroppo, l’alimentazione è soggetta alle mode, un vero peccato perché l’organismo è invece abbastanza fedele ai suoi principi e, per mantenersi in buona salute, ha bisogno di un certo equilibrio e di buona qualità.
Parliamo di fast food, quei deliziosi luoghi carichi di colori sgargianti nei quali si servono hamburger gocciolanti grassi insaturi realizzati con… beh, non lo sa nessuno cosa ci sia davvero dentro.
Negli anni ‘90 un negozio della catena di McDonald’s in Islanda venne chiuso; il locale rimase abbandonato per una decina d’anni fino a quando non fu acquistato da un nuovo proprietario che volle ristrutturarlo. La fotografia degli hamburger rimasti per un decennio all’interno della struttura fece il giro del mondo: sembravano preparati il giorno prima! Nessun animale si era azzardato a mangiarli, nemmeno le muffe si erano sognate di colonizzare quel territorio sterile e pericoloso che centinaia di bambini ingurgitano ogni giorno.
Qualche anno prima, una ricerca universitaria aveva condotto analisi sempre sugli hamburger delle principali catene di fast food globali: il risultato fu che la maggior parte di questi conteneva escrementi.
Oggi McDonald’s e compagnia bella continuano a sfornare i loro deliziosi hamburger e nessuno si preoccupa di controllare le etichette… qualcuno di voi è pronto a giurare che non contengano insetti (o peggio)?
Quindi basta eliminare il cibo spazzatura per stare tranquilli? Se fossimo a Zelig probabilmente sì, ma questo è il mondo reale.
Le norme igieniche previste per il mondo alimentare sono tanto ferree nei ristoranti quanto lasse nella produzioni degli alimenti destinati ai supermercati. La faccio facile: in pratica puoi anche perdere un dito dentro la salsa di pomodoro, l’importante è che poi tutto venga portato ad altissime temperature per essere sterilizzato.
Non scherzo! Chi ha lavorato nel settore alimentare sa che non c’è nessuno a selezionare le foglioline di basilico più tenere per i sughi, che nessuno rifila il grasso della carne per rendere più leggero il brodo pronto e che non ci sono gli Umpa Lumpa a spennare migliaia di polli prima di trasformarli in crocchette, hamburger e sformatini.
Un documentario shock di qualche anno fa mostrava come i poveri polli venissero gettati interi (piume, zampe, creste e becchi compresi) all’interno di macchine che sfornavano poi alimenti confezionati con una bella foto di una famiglia sorridente.
C’è poi da dire che anche il miglior prodotto confezionato non informa il consumatore di quello che c’è dietro: con cos’hanno nutrito il vitello che oggi mi trovo a consumare? Ci accontentiamo, nel caso delle carni bianche, di leggere “allevato a terra” che, sinceramente, è come se vi presentaste a un colloqui di lavoro annunciando “ho studiato a Cambridge” come unica referenza.
Ricordiamo tutti il morbo della mucca pazza, vero? Quello che è costato la vita a qualche centinaio di persone perché consumatrici di carne vaccina alimentata con farine di origine animale… davamo all’animale erbivoro per definizione della carne aspettandoci che non succedesse niente!
Se è molto vago tracciare il percorso alimentare della carne che ho nel piatto, è praticamente impossibile conoscere quello della fauna ittica. E, ovviamente, non ci sono ricerche in merito!
Sappiamo ormai tutti che il mare è pieno di metalli pesanti tra i quali trionfa il mercurio e l’attuale legislazione europea ci garantisce che in ogni singola scatoletta di tonno comprata al supermercato ci sono tracce di questo elemento, ma si prende anche la responsabilità di stabilire che sono tracce talmente basse che non causano pericolo alla salute dell’uomo.
Quello che la legge non tiene in conto è quello che viene definito “accumulo”, ossia: se mangio una scatoletta di tonno non c’è problema, ma se ne mangio una oggi e una domani?
Una ricerca di laboratorio pubblicizzata dalla trasmissione Report ha evidenziato che sì, una scatoletta di tonno non uccide nessuno, ma due scatolette alla settimana superano l’apporto di mercurio considerato pericoloso per la salute.
Pensiamo in grande e aggiungiamo che, magari, uno non sopravvive con una sola scatoletta di tonno a settimana, ma si nutre anche di verdura esposta a contaminanti chimici, cereali cosparsi di fumiganti per preservarli, frutta trattata per essere splendente… certo, ogni singolo pezzo viene analizzato per garantirci che non ci ucciderà, ma la verità è che, ad oggi, nessuno ha idea di come queste sostanze interagiscano poi tra loro una volta che si ritrovano al grande party organizzato nei nostri stomaci.
Dovremmo smettere di mangiare? Sicuramente dopo le feste non farebbe male un periodo di digiuno, ma non siamo tragici! Ci viene però chiesto dalla nostra salute di essere selettivi, di fare lo sforzo di leggere le etichette, di comprenderle, di pretendere che siano chiare e dettagliate e, anche se la cosa costituisce un trauma, cambiare prodotti se non siamo soddisfatti di quello che leggiamo.
La farina d’insetto è la cosa meno pericolosa che possiamo trovare nel nostro carrello.