Autore: Stefano Luigi Cantoni
Ho il brutto vizio di leggere, accidenti. Che poi non si sa sia brutto per davvero e, soprattutto, se sia un vizio. Ad ogni modo, non divaghiamo. Mi sono imbattuto per l’ennesima volta in una raccolta di citazioni letterarie prese dai più grandi letterati di tutte le epoche e alla lettera P, dopo Pascal e Pasternak, appare il grandissimo Pessoa.
Nel Libro dell’inquietudine, sua opera incompiuta del 1982 tra le più famose e amate, si nascondono mirabili frammenti e citazioni degne di far girare le rotelle anche a chi ne è privo, da quanto profonde esse siano. Una frase si è accidentalmente scolpita nella mia testa (vedete a leggere che succede?): “E se tutti noi fossimo sogni che qualcuno sogna, pensieri che qualcuno pensa?”
Innanzitutto dalle parole dello scrittore portoghese traspare una incontenibile brezza vaporosa, leggera e sublime che grazie a due parole in particolare riesce a creare movimento e leggiadria al tempo stesso: sogni e pensieri.
Nulla di più etereo, onirico e impalpabile e al tempo stesso riconducibile a un qualcosa di fisico, desiderabile e auspicabile: unire l’uomo, espressione fisica e materica di una certezza (spesso più brutta che buona) a un’idea astratta, soffice e non sempre definibile scientemente come i sogni e, apriti cielo, i pensieri, par davvero eresia.
Eppure, in fondo, non siamo fatti che di questo. O meglio, anche di questo, perché il vero problema sta proprio nell’accettare la nostra condanna: non essere fisici, presenti, palpabili a tutti i costi, in una parola eterni.
La paura e il disagio mi hanno colto, e non lo nascondo certo a voi che ormai siete pazienti lettori delle mie innumerevoli bizzarrie attorno al variopinto mondo dei letterati: un senso di vuoto mi ha colto, tanto forte da dovermi sedere e chiudere il libro del buon Fernando (autore sublime e mirabile, capace di meraviglie in cui anima e passione creano intrecci dal sapore di mare e dal suono di Fado.)
L’idea che la nostra vita non sia altro che finzione, idea, rassomiglianza a qualcosa di già visto, vissuto, o forse anche solo scritto, fa rabbrividire. Pessoa punge nel vivo, come fecero Borges (Finzioni parla anche, e non solo, di questo…), Rabelais, Cervantes, Ariosto, Calvino, Proust e moltissimi altri.
La realtà può essere un intreccio di storie, una possibilità di destini mai compiuti, un’immagine riflessa nella pallida piega di una luna opaca e stanca che quella sera volta le spalle a tutti. La vita, in fondo, ricorda parecchio il sogno, il pensiero, un’immagine idealizzata: quella che di noi hanno gli altri, quella che degli altri abbiamo noi, quella (soprattutto) che ci imponiamo di avere davanti allo specchio ogni mattina.
Pirandello parlava di centomila anime e qualche personaggio in cerca di autore, noi tutti ne conosciamo almeno uno: noi stessi. Siamo realmente carne, caviglie, denti, cuore e ossa? O i nostri gesti non sono che effimere proiezioni di una realtà più divertente, vaporosa e senza tempo? Incapace di risolvere nel breve (forse mai…) questo dilemma, rileggo la frase di Pessoa e, rispetto a prima, sorrido. Sì, perché mi accorgo (come ho fatto a non rendermene conto prima?) che alle mie spalle sta prendendo forma un qualcosa di familiare, rassicurante e persino divertente.
Socchiudo gli occhi per capire meglio cosa sia e la sorpresa mi lascia a bocca aperta. Ciò che aleggia dinanzi a me ha proprio l’aria di un sogno o, forse, di un pensiero…