Autore: Lorenzo Grazzi
C’è un personaggio dello spettacolo che ha fatto la storia, non solo nel suo settore, la recitazione, ma anche nella concezione che tutti noi abbiamo di un divo e della bellezza.
Non c’è dubbio che stiamo parlando di Marylin Monroe, attrice scomparsa sessant’anni fa che ancora oggi incarna il modello di donna perfetta.
Fama, successo, attenzioni. Marylin, anzi, Norma Jeane Mortenson Baker (il suo vero nome), ha avuto agli occhi del pubblico tutto quello che si poteva desiderare all’epoca e non ci si è mai davvero chiesti se fosse davvero una vita da invidiare la sua.
Norma è cresciuta senza una vera famiglia, passando da una casa-famiglia all’altra, da genitori affidatari che si sono poco curati di lei (fino ad arrivare alle presunte molestie). Il vero padre aveva abbandonato lei e la madre prima della nascita della piccola, mentre la donna che l’aveva messa al mondo soffriva di disturbi mentali e dipendenze varie.
L’infanzia di Norma è stata l’esempio perfetto di tutto quello che non dovrebbe accadere ai bambini.
Ma Norma dalla vita ha ricevuto anche un’altra condanna, la bellezza.
Stupenda da bambina, una volta adulta è diventata inarrivabile. Una stella per la quale gli uomini avrebbero dato tutto e le donne imitavano.
Non c’era giornale in quegli anni che non pubblicasse almeno una riga al giorno su Marylin e la sua vita privata.
Che poi di privato aveva poco perché la sua bellezza andava mostrata, usata, abusata.
Non c’era riposo per la stella del cinema: film, canzonette, pubblicità e poi le uscite pubbliche per essere fotografata, gli scatti rubati nella propria intimità. Norma Jeane era morta per far nascere Marylin Monroe, un prodotto dei media da dare in pasto a un pubblico stupido e svenevole.
Come il bruco muore per trasformarsi in farfalla. E vivere solo un giorno.
Nessuna pietà per quei momenti di fragilità che a volte comparivano, non c’era tempo da perdere; qualche pasticca e poi in scena. Fino a quando anche le sue dipendenze non hanno cominciato a far notizia e a diventare occasione per far soldi.
E poi il cinema. Non c’era bisogno che sapesse recitare, era bellissima e bastava affibbiarle quale ruolo da oca che stabilisse in un colpo solo il modello di donna che l’uomo americano degli anni Cinquanta voleva accanto. Stupida, bella e devota.
Commedie per far ridere la gente dietro le quali si consumavano lacrime e pasticche.
Un prodotto che non poteva essere scartato fino al completo esaurimento.
A 36 anni Marylin Monroe aveva tutto, compresi tre mariti uno più famoso dell’altro. Ma in quella stanza d’albergo, forse, Norma era sola mentre l’overdose di sonniferi le dava finalmente un po’ di pace.
Sulla sua morte, sessant’anni dopo, non si è ancora fatta luce del tutto: omicidio? Suicidio? Incidente? Chissà, non lo sapremo mai davvero. Il pubblico vuole un mito da venerare, una stella da piangere, un punto di riferimento.
Che ne sarebbe di noi se dopo aver messo Marylin sul piedistallo, averla osannata, adorata e imitata dovessimo scoprirne le fragilità? Cosa sarebbe di tutte le attrici, le subrettine e ballerine che l’hanno presa a modello?
Marylin Monroe è un capolavoro di consumismo, una marionetta esistita solo sui rotocalchi, su qualche pellicola e nell’immaginario collettivo. Di lei si è detto tutto quello che era conveniente dire e forse qualcosa di più.
Ma poi c’è Norma Jeane, fragile, spezzata da una vita che nessuno avrebbe voluto e che alla fine l’ha avuta vinta.