LIFE IS STRANGE, UNA STORIA DI VITA REALE

LIFE IS STRANGE, UNA STORIA DI VITA REALE

Autore: Sabrina Fava

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“Un gioco è solo un gioco”, questa è la frase standard che fuoriesce dalla bocca della maggior parte di coloro che non hanno mai stretto un controller fra le dita. Io non sono una gran giocatrice, niente calli sui polpastrelli o pollici da paura, lascio gli “sparatutto” ai veri player, io sono la famosa gamer della domenica.

Mi accoccolo sul divano con le gambe incrociate, un paio di pantaloni della tuta e un top sottile, i calzini rosa tirati sulle caviglie. Le mie gattine raggomitolate accanto, che ronfano, uno stiracchio fra una fusa e l’altra. Prendo il joystick fra le mani, premo il tasto di accensione e mi addentro nel mondo di Life is Strage, un gioco che non è solo un gioco.

Un’avventura grafica. Una modalità di gioco nella quale si è spettatori, ma al contempo artefici del destino dei personaggi che controlliamo. Ci si muove all’interno di una cittadina statunitense, Arcadia Bay, si scambiano battute, si conosce la vita dei suoi abitanti, si vive la storia di qualcun altro. Ed è proprio questo: un’esperienza di vita. Ci immergiamo nelle vesti di due ragazzine diametralmente opposte: Max e Chloe. La prima, ottima studentessa appassionata di fotografia, vestita con cura, un corto caschetto castano a incorniciale il volto angelico e una frangia a nasconderle la giovane fronte. La seconda, Chloe, il perfetto stereotipo di bad girl, abiti scuri e strappati, borchie e corti capelli screziati di azzurro. Vi ricorda qualcosa? Ebbene sì, ho preso ispirazione da lei per disegnare la mia Alex, co-protagonista de I segreti di Melanie Cooper. In effetti, sono due storie simili, se non fosse che strani e misteriosi eventi si verificano nei dintorni della Blackwell Academy e Max ha un potere che Melanie non possiede: sa tornare indietro nel tempo.

Max dopo anni rimette piede nella sua città Natale, sbatte il piccolo naso contro quello che era il suo passato: Chloe, la sua migliore amica. E diamine, fa un male cane.

È a scuola, le prime ore di lezione sono terminate, cammina lungo i corridoi rumorosi, giunge fino al bagno delle ragazze, il palmo umido che preme contro la porta lurida e imbrattata di scritte. Sente delle voci, uno sparo. Si nasconde. Uno scalpicciare di scarpe costose le passa accanto, mentre con gli occhi chiusi, prega per la sua vita. E poi cala il silenzio. Esce dal suo nascondiglio e guarda verso il basso. Chloe è a terra riversa in una pozza di sangue, un odore rancido le giunge alle narici. La sua migliore amica è appena morta e lei non ha fatto nulla per impedirlo. Un senso di colpa la attanaglia, un dolore così grande che le sembra divorarla dall’interno. Ed è quello il momento in cui lo sguardo le ricade su un’istantanea e si rende conto di poter tornare indietro nel tempo, allo stesso momento in cui quella foto era stata scattata.

Questo è solo il preambolo di una storia governata da poteri ben più forti dei viaggi nel tempo: la depressione, la droga, l’omicidio, il cyber-bullismo e il suicidio, in un periodo in cui il senso di indifferenza è il pane quotidiano. L’empatia che si instaura con le due protagoniste è così forte da apparire soverchiante, da lasciare un senso di vuoto una volta terminati i capitoli, mentre lo sguardo scorre sui titoli di coda.

È un gioco realistico e dannatamente doloroso, con una regia intrigante, capace di momenti appassionanti e altri devastanti, una colonna sonora eccezionale, un alternarsi fra flebili risa e maledette lacrime. Se come me, amate le storie di vita, amerete Max e Chloe.  E ora devo ribadirlo: un gioco che non è solo un gioco.