Autore: Stefano Luigi Cantoni
John Steinbeck, nell’ Inverno del nostro scontento, ci offre uno spunto di riflessione attualissimo e, a ben vedere, ai limiti del tragico: “Mi vendicherò nel modo più crudele che tu possa immaginare. Dimenticherò ogni cosa.”
Non riesco a celare l’angoscia che questa massima dello scrittore americano ha lasciato dentro me dopo la prima lettura. Un disagio dettato innanzitutto da quell’aggettivo, “crudele”, che tanto si sposa con il concetto di vendetta (un gesto tra i più truci che un essere umano possa attuare verso i propri simili) e, al tempo stesso, poco si lega all’immaginazione che risulta spesso impalpabile e aleatoria.
La questione si fa profonda e complessa soprattutto alla luce del contesto odierno, perché i classici ci parlano sia del loro tempo sia (per chiunque abbia la pazienza di leggerli e assorbirli) del nostro tempo.
La parola dimenticanza, che per Steinbeck è la forma più bruciante di vendetta, mi ricorda tanto quella damnatio memoriae che caratterizzò l’epoca antica, nella quale lo scordarsi volutamente di qualcuno significava estrometterlo dalla dignità dell’esistenza, che egli fosse un imperatore, un politico o un generale di guerra.
E che dire degli illustri esiliati della Storia? Da Dante a Napoleone, in molti, anche meno noti, hanno sofferto le pene della solitudine, dell’abbandono e, cosa ancor più terrificante, del silenzio. Perché una cosa che molti sottovalutano, quando si parla di dimenticanza, è proprio l’assenza di parole, che esse siano di conforto, di sfida o persino di scherno: senza voce, senza confronto verbale, l’essere umano perde appigli di senso, non avendo altra scelta che abbandonarsi al nulla (tema attuale, non trovate?)
Dimenticarsi volutamente di qualcuno equivale a condannarlo a una morte “viva”, per usare un ossimoro: il cuore del malcapitato può resistere a lungo, ma la tristezza che lo avvolge come un mantello di pece ne rende i battiti pesanti, affannati e sempre più lenti, soggiogandolo a un dolore figlio della più pericolosa minaccia che un essere umano possa conoscere: la solitudine.
Dimenticare è estraniare il ricordo, allontanare dal cuore sensazioni odori e abitudini che ci legano a quella persona: in una parola, cancellarne ogni traccia fisica di esistenza. Un omicidio senza cadavere, non c’è che dire.
Nell’era delle spunte blu di WhatsApp, dei messaggi visualizzati e mai ricambiati, dei silenzi assensi e delle mille supposizioni, la dimenticanza di Steinbeck ha ceduto il passo a un’alleata ancora più temibile: l’indifferenza. Se il non provare più nulla verso altro da noi (ricordate l’atarassia epicurea?) è di per sé terrificante, lo è ancora di più il decidere che altri esseri umani come noi, per nostra scelta, possano perdere consistenza fisica e senso stesso di esistere.
Escludere qualcuno dalla propria vita, oggigiorno, è forse più crudele di quanto possiamo immaginare: una vendetta senza scontro risulta infatti più dolorosa e disarmante rispetto a una fisica ed eroica tenzone, poiché nega alla vittima la possibilità di usufruire dell’unica arma realmente salvifica: il confronto.