Autore: Sabrina Fava
I passi che sentivo alle spalle mi avevano fatto capire che l’unica Casa era piena. Come potevamo essere in quella Casa? Lui che era sempre stato un peccatore. Il peccato è il male più grande, è l’amore sbagliato per un bene materiale. Amare non è mai sbagliato. È sbagliato amare male. Lui aveva amato male, aveva amato i vizi più puerili, i liquidi viscidi della lussuria e quelli acri degli alcolici. Aveva amato lo stomaco pieno, il tintinnare del denaro, la polvere incastonata sotto le unghie.
Le mie ginocchia erano posate sul rigido genuflessorio. Gesto abitudinario di peccato e innocenza.
Ero immobile a fissare le persone che piangevano per il falso casto, non corrotto dall’immoralità. Come un fulmine a ciel sereno avevo avuto il timor sacro di conoscere la verità più assoluta. La vera verità. Morte e vita o vita e morte? Era una delle prime grandi prese di coscienza della mia vita. Avevo già immesso piede nell’unica Casa portando sulle spalle il peso del lutto ma mai con tale consapevolezza. Forse era stata la morte stessa a suggerirmi, sussurrandomi all’orecchio, che quello era solo l’inizio. Avrei visto sempre più lacrime, sempre più sguardi vacui, sempre più visi pallidi, sempre più sclere torbide sotto le palpebre. Avrei visto sempre più funerali e l’ultimo sarebbe stato il mio.