Autore: Stefano Luigi Cantoni
“Quando mai uno stupido è stato innocuo?”
Un grandissimo Ennio Flaiano, con questa citazione tratta dal Diario notturno, ci pone di fronte a un problema annoso e troppo spesso sottovalutato: il danno che la stupidità dell’essere umano può arrecare non solo ai propri consimili ma anche all’evoluzione stessa della specie.
Non si tratta di un discorso snob né tantomeno classista, ma di pura oggettività: la persona stupida, convinta della propria non-stupidità, spesso e volentieri diviene emblema paradossale di un male atavico che affligge molti, se non quasi tutti gli uomini: il sentirsi superiore agli altri.
Il guaio, a parer mio, è che senza intelligenza (dal latino intelligo, ossia ponderare, meditare, soppesare) viene meno la capacità di scindere le situazioni, scorporare i soggetti e gli oggetti dei contesti che viviamo, dare il giusto peso (soppesare…) a emozioni, parole, intenzioni.
Non che chi ne sia dotato in maniera maggiore ci dia garanzie a riguardo, ma perlomeno alla griglia di partenza del Gran Premio chiamato vita ha, oggettivamente, meno probabilità di toppare e far figuracce.
Lo stupido (dal latino stupidus, ossia attonito, sbalordito) non possiede alcune capacità fondamentali in grado di conferire senso e spessore ad ogni legame umano: interpretare le situazioni, immergersi nel sentire altrui e calarsi in panni diversi dai propri.
Cosa comporta questa (non) visione del mondo, degli altri e del confronto con chi la pensa diversamente? Nella migliore delle ipotesi una mera polemica fine a sé stessa, dove lo stupido cercherà di portare sul campo base della bagarre e della diatriba il livello del discorso (l’unico consono alla sua non-dialettica, alla sua non-apertura, insomma alla sua comfort zone.)
Ma la Storia, ahinoi, ci ha abituato anche a exploit mirabili e irripetibili di eccellenza stupida, o stupida eccellenza (scegliete voi): scelte errate di un singolo che hanno condotto a morte milioni di persone, per non parlare di firme su documenti mal interpretati che hanno cambiato le sorti di continenti e, ancora, risposte all’apparenza innocue date alla figlia adolescente che in realtà celano macigni che difficilmente il tempo può cancellare.
Affrontare uno stupido, dialetticamente parlando, è operazione assai ardua e oltremodo sconsigliabile, per almeno due ragioni. La prima è prettamente materialistica, in quanto rappresenterebbe una sicurissima (nonché triste) perdita di tempo: da una rapa non si cava il sangue, dicevano, per cui leverebbe tempo ed energie ad attività più alte, stimabili e banalmente utili.
La seconda ragione, la più importante e da molti sottovalutata, è concettuale e olistica, se così vogliamo osare definirla. Passar del tempo con uno stupido che non accetta un confronto o uno scambio rischia di trasformare anche il suo interlocutore in un suo simile, privando l’umanità di un’altra mente in grado di far parte, con coscienza, del mondo sensibile (lo so, visione un pelo platonica, ma rende l’idea…)
Confondersi (o, peggio, abbassarsi) al livello degli stupidi, tornando dunque alla citazione-provocazione di Flaiano con cui ho aperto questa piccola riflessione, rappresenta il pericolo di non vedere più dove si infrange la linea del raziocinio, di non discernere più ciò che è figlio dell’intelletto e del ragionamento da ciò che è frutto della pancia e dell’immediatezza più animalesca.
Occorre dunque vigilare e non cascare nelle trappole del livello basso, della violenza verbale, dell’insulto: per evitare le sabbie mobili della mediocrità, del parlare uniformato, del sentito dire (le più alte forme di stupidità moderna) servono occhi aperti, cuore fermo e, possibilmente, ripetere questo mantra almeno una volta al giorno:
“fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.”