Autore: Sabrina Fava
È da un po’ che non lo faccio. Negli ultimi tempi ho scritto articoli tentando di estraniarmi, come se guardassi da lontano ciò che stavo narrando. Non come un giornalista, sia ben chiaro. Quel tipo di scrittura non va a braccetto con il nostro progetto. Ma è un po’ come quando si racconta una vecchia storia che non ci ha resi partecipi, ma che ricordiamo scolpita nei meandri della mente di qualcun altro.
Oggi non sarà così.
Racconterò la storia di un’altra persona, questo è certo, ma lo farò tramite la mia storia.
Ricordo ancora gli anni passati alle scuole medie. Erano abitudinari, erano sicurezza, erano serenità. Quando alle 13 suonava la campanella della fine delle lezioni, salivo in sella alla mia meravigliosa e cigolante Graziella e andavo a casa. Questo avveniva solamente nei giorni più caldi, sia chiaro. Mio nonno non mi avrebbe mai permesso di andare a scuola in bicicletta se faceva freddo. Allora mi passava a prendere e andavamo a casa insieme.
Abitavo con i miei nonni all’epoca.
Giungevo a casa, erano passate solo da qualche minuto le 13, lo stomaco brontolava, il desiderio di sedersi a tavola e scoprire cosa mi avesse preparato quel giorno da mangiare era a tal punto soffocante.
La chiave che girava nella toppa, quel colpo segreto da assestare con l’anca altrimenti la porta rimaneva incastrata. Una ventina di passi sul corridoio in cotto. Ed ecco la cucina, mmh che dannatissimo profumo.
Lo stomaco si attorcigliava. Che fame!
Ed era quello il momento in cui lo sentivo. Quel motivetto che tutti ricordiamo, l’occhio che guizza verso lo schermo a tubo catodico che frigge mentre osservavo il ticchettare silenzioso delle dita della signora sulla vecchia macchina da scrivere. Un saluto con la mano, e tanti preliminari per giungere alla fantomatica scritta “Murder, she wrote”. Ed eccoci piazzato davanti agli occhi il volto della mitica Angela Lansbury. Ma diciamocelo… per quanto abbiamo amato “Pomi d’ottone e manici di scopa” nulla ci è rimasto più nel cuore della mitica Signora Fletcher.
Quasi ogni famiglia a quell’ora si piazzava davanti alla tv e cadesse il mondo si doveva vedere la puntata della “Signora in Giallo”. Inutile dire che abbiamo visto le stesse puntate più e più volte, ma ciò nonostante ogni volta era un’esperienza nuova. Tranne per me, dato che mio nonno mi rivelava ogni volta cosa sarebbe accaduto. «Ah Sabry, te lo ricordi che qui l’assassino…» oppure «Mi sa che è questo il momento in cui trovano il cadavere…». Simpatico, vero?
Beh io lo adoravo e il binomio nonno-Fletcher è sempre stato una bomba.
Ho detto “il momento in cui trovano il cadavere” insomma… utilizzare il plurale forse è un azzardo e sarebbe meglio dire qualcosa tipo «Questo è il momento in cui la deliziosa signora Fletcher decide di fare un viaggio in collina e casualmente si ritrova fra i piedi un omicidio da risolvere».
Perché lo sapete meglio di me, la trama era scontata e già sapevamo cosa sarebbe accaduto… tuttavia ogni puntata era una risata strappata, un luccichio delle iridi, e uno sfamare il cuore.
Buon viaggio donna meravigliosa, chissà quanti omicidi ci saranno da risolvere ora!