LA MORTE DEL CAVALIERE

LA MORTE DEL CAVALIERE

Autore: Michele Larotonda

È morto Silvio Berlusconi e alla fine si conferma la storia di Totó che teorizzava la questione della “livella”. Alla morte nessuno scappa e ci rende tutti uguali.

Ora io non starò lì a raccontare la sua storia perché la conoscono tutti, tanto meno darò grande spazio alla sua parabola politica perché non è questo il posto giusto e soprattutto perché, da quando è nato il BARNABÓ, lo scopo è quello di esporre i fatti senza giudicare, criticare e quant’altro.

È morto Silvio Berlusconi e nel bene e nel male e difficile immaginare un mondo senza colui che con i suoi numerosi pregi (tanti quanto i difetti) è riuscito a eleggersi ad Arcitaliano per eccellenza (come viene definito da Repubblica).

La sua storia ha caratterizzato gli ultimi 50 anni il suo nome è rimbombato ovunque: tv, giornali, bar, stadi, parlamenti, aule di tribunale…un vero mattatore della vita pubblica.

Uno dei suoi punti deboli è stata la sua ricchezza che ha ancora oggi tanti punti oscuri. Non si è mai capito come una persona non nato ricco, potesse diventare palazzinaro prima e visionario del tubo catodico poi e infine diventare uno spregiudicato uomo simbolo per un’intera generazione. Una parabola su cui la procura ha voluto indagare più volte senza mai arrivare a qualcosa di concreto. Anzi! 

La sua famosa tessera 1816 della P2, la costruzione di Milano 2 e 3, l’intuizione della tv via cavo, la famigerata amicizia con Craxi, il Milan, la “discesa in campo”, le vittorie, le sconfitte, le leggi ad personam, le poche riforme dei suoi governi, sono tutte fasi che abbiamo vissuto e che entreranno nella storia del nostro paese, ma questo articolo, ripeto, è un’analisi sull’uomo più pop che abbiamo avuto.

Nulla c’è di più pop della storia di Fininvest e Mediaset. La sua avventura nel tycoon televisivo nasce quando inventa la tv via cavo che doveva servire solo gli abitanti di Milano 2, quindi la nascita di Tele Milano 56 che diventerà canale 5 al quale si aggiungerà Italia 1 e Rete 4. L’intuizione è geniale, perché capisce che in Italia non ci può essere mercato senza una diretta concorrenza con le tv di stato. Intuisce che la gente ha bisogno di svago e di leggerezza (alzi la mano chi non ha mai visto Drive in), intuisce che la pubblicità e gli sponsor sono fondamentali per restare a galla, intuisce la grande professionalità di personaggi iconici: da Mike Bongiorno in poi.

L’arrivo di Dallas, Dynasty, passando per i Arnold, Robinson, principi di bel air e Beverly Hills si abbattono come una manna sul vecchiume proposto da mamma Rai. La leggenda narra che la sera, davanti alla tv, guardasse i programmi Fininvest segnalando all’istante i difetti di ciascun programma, dalla scelta degli ospiti, all’inquadratura, alle luci. 

Ossessivo, pignolo e ambizioso.

Ha saputo cogliere le voglie e le aspettative delle famiglie italiane e dei tifosi milanisti degli anni 80.

Il suo capolavoro, infatti a mio parere è stato il calcio. Nel 1986 acquista una squadra disastrata e assolda un allenatore sconosciuto senza grande esperienza: è la nascita del Milan di Arrigo Sacchi. Una squadra che dominerà il calcio per vent’anni interrompendo il predominio delle squadre spagnole.

Gli anni 90 sono stati il suo apogeo e anche l’inizio della fine, ma questa è un’altra storia.

Ora non c’è più e personalmente a lui va tutta la mia pietà come uomo, ma è innegabile che la sua politica è stata una calamità che purtroppo si ripercuote su quello che c’è oggi ed è anche per questo che la sua scomparsa lo relegherà alla storia.