LA GUERRA LINGUISTICA

LA GUERRA LINGUISTICA

Autore: Lorenzo Grazzi

Il Novecento è stato uno dei secoli più drammatici dal punto di vista dei conflitti bellici…beh… non è che poi gli altri secoli siano stati proprio tutto peace and love, solo a sfiorarne il pensiero mi vengono in mente almeno una decine di guerre che hanno lasciato più morti in terra che alberi in un bosco.

Il nuovo millennio sta già dando prova di non voler essere da meno e le  popolazioni in fuga dalle loro terre natie sono sempre di più, con le conseguenze che tutti conosciamo.

Ma dove nascono le guerre?

Certamente da interessi economici, questo è indubbio, ma anche e soprattutto dalle incomprensioni.

Vi è mai capitato di ritrovarvi in una discussione all’ultimo sangue con un amico, un parente o un collega, per poi accorgervi che si trattava di un malinteso? Di qualcosa che l’altro aveva percepito in maniera diversa da quello che volevate comunicare?

Ecco, lì nascono le guerre: dalle incomprensioni dovute a culture diverse, a idee differenti e a tradizioni che sembrano lontane tra loro.

Nel preambolo dell’atto costitutivo dell’UNESCO si legge “…le guerre nascono nell’animo degli uomini ed è l’animo degli uomini che deve essere educato alla difesa della pace”, come a dire che la guerra è prima di tutto una cosa che abbiamo dentro.

L’Europa sentiva il bisogno di difendersi dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale e corse ai ripari cercando una collaborazione tra le Nazioni, ma soprattutto tra i popoli e si accorse fin da subito che il vero problema era la comunicazione.

La lingua è l’identità stessa di un popolo (a volte di una singola regione), qualcosa che non è incollato al DNA, ma nel quale viviamo immersi fin da prima della nascita, quando i nostri genitori parlano e, come hanno ormai dimostrato i medici, il bambino percepisce (e reagisce) alle parole.

Con questo “peccato originale” dovremo fare i conti per tutta la vita, e sarà quello che influenzerà la nostra percezione del mondo, quello che ci consentirà di riconoscere le persone della nostra Nazione anche se fossimo in capo al mondo, quello che ci renderà speciali per gli stranieri e che, inevitabilmente, ci causerà non pochi problemi di comunicazione!

Da qualche tempo la politica italiana ci ha abituati a drammi linguistici che spaziano dalla “presidenta” al presidente (usato per il sesso femminile), aberrazioni che avrebbero fatto uscire il sangue dal naso al povero Dante (che di naso ne aveva anche parecchio), ignorando quei deliziosi termini previsti dalla nostra lingua come “presidentessa”… sono tutti matti?

Può essere, non si esclude nulla a priori, ma la guerra della lingua è qualcosa di più importante, qualcosa che viene strumentalizzato per cercare di definire e ridisegnare un’intera identità e che è capace di attirare a sé l’attenzione dei media per giorni interi.

Eh, ma non siamo gli unici ad avere qualche problema linguistico, lo sanno bene gli spagnoli.

La lingua di Cervantes è tra le più ingannevoli; lingua romanza come l’italiano (il portoghese, il francese e il rumeno), lo spagnolo si finge un cuginetto simpatico, ma è in realtà la prova vivente che “parenti serpenti”.

Siete in un bar a Madrid, affacciati sulla plaza Mayor baciata dal sole di primavera e racchiusa in uno scrigno di cielo azzurro. 

Il cameriere arriva per prendere la vostra colazione che, da bravi esploratori, pensate di fare in stile locale e quindi ordinate fette biscottate con marmellata e burro. Purtroppo il vostro castellano non è proprio perfetto e alla fine vi esce qualcosa come “toas with confitura y burro”.

Il cameriere, da bravo spagnolo, non batte ciglio e si allontana per comparire poco dopo con una piatto di fette biscottate, della marmellata e un asino al guinzaglio.

Animale molto simpatico e intelligente, ma difficile a colazione. Ricordate quindi che in spagnolo burro significa “asino”, sulle fette biscottate dovrete chiedere la mantequilla.

E gli spagnoli sono anche tra i popoli più orgogliosi da questo punto di vista: potete dirgli che il Real Madrid è una squadraccia, che Goya non sapeva dipingere e che la Catalogna è la regione più bella di Spagna, ma mai, mai e poi mai, criticare la loro lingua!

Lo sa bene l’UE che ha rischiato il collasso prima ancora di venire al mondo.

Anno Domini 1991. A Bruxelles vengono ratificati gli atti costitutivi dell’Unione Europea e, per praticità e uniformità alfabetica venne ufficialmente chiesto alla Spagna di rinunciare alla Ñ (noi la pronunciamo come fosse la gn di gnomo).

Scoppiò una bomba linguistica che aveva il potenziale di cento bombe atomiche.

Questa simpatica lettera che appartiene allo spagnolo (español) da sempre ne è anche l’identità, il segno distintivo, l’impronta digitale.  

Gli spagnoli insorsero in massa (anche quelli che non si erano mai preoccupati di grammatica), minacciando di abbandonare non solo Bruxelles, ma anche l’allora CEE (che ne sanno gli inglesi con la loro Brexit?!).

Il chiasso fu talmente tanto che l’Europa rinunciò molto velocemente all’idea e offrì agli spagnoli una lettera che assunse il ruolo di martire, guardiana inaffondabile della lingua di Don Chisciotte, paladina della spagnolità nel mondo: la Ñ.

Ora, a noi può sembrare una vera assurdità tutto questo fracasso per una lettera che già appare nell’alfabeto (la N) alla quale è stato concesso uno sghiribizzo come corona ma, anche in questo caso, si tratta di ignoranza linguistica.

Sì perché la N e la Ñ sono due lettere completamente differenti in spagnolo e l’utilizzo di una è dell’altra cambia radicalmente parole, frasi e intenti.

Il verbo ordenar (ordinare) non può essere confuso con ordeñar (mungere)… vi immaginate vostra madre che presa da un momento di ira funesta vi manda a “mungere” la vostra camera?!

Ma la situazione può essere anche peggiore se año (anno) è molto, ma molto diverso da ano (come in italiano!)… e se volete bene a qualcuno non potete augurargli un Feliz ano nuovo, vi pare?!

Dunque la lingua è la base della comunicazione, è una tradizione, un tesserino identitario che consente di relazionarsi con altre persone della stessa specie, ma al tempo stesso le definisce.

Ecco perché lavorare a un progetto comune di lingua (come nel caso dell’Esperanto), potrebbe essere una soluzione non solo per un vezzo ideologico, ma anche per scongiurare le prossime guerre.

2 Risposte a “LA GUERRA LINGUISTICA”

  1. Io adoro l’idea che sta alla base dell’Esperanto, la lingua pianificata internazionale per eccellenza; A mio parere sarebbe favoloso se tutti al mondo potessimo conoscere e parlare l’Esperanto come seconda lingua ufficiale dopo la propria lingua madre: ci sarebbero meno disparità sociali ed economiche. Perché ora come seconda lingua c’è chi ha l’inglese, chi lo spagnolo, chi il cinese… tutto ciò non aiuta la comunicazione globale, a mio parere.

  2. Io credo a prescindere che parlare e parlarsi sia fondamentale per non cadere o incespicare in errori e orrori come le guerre che si scatenano a volte per cose futili

I commenti sono chiusi.