LA FERITA DEI NON AMATI

LA FERITA DEI NON AMATI

Autore: Antony Russo

La sensazione è quella di una voragine senza fondo, ove l’oscurità è talmente fitta da non lasciar scorgere nulla. Ma sta lì e continua a risucchiare tutto.  

Ci si percepisce come vasi vacui e non se ne comprende il motivo. 

C’è solo vuoto, senza coscienza di come questo si sia creato. 

Si tenta in ogni modo di riempirlo, ma è pressoché impossibile, perché il tutto fuoriesce da quella ferita che continua a sanguinare e sembra non volersi cicatrizzare.  

Comincia in quell’esatto istante la sensazione lacerante di sentirsi sbagliati rispetto al resto del mondo.  

Ci si sente soli, incompresi.  

Finché arriva il punto di rottura.  

Mi sono ritrovato nel periodo più nero, con il cellulare in mano.  

Il browser era aperto da qualche minuto, lo fissavo non sapendo cosa avevo intenzione di cercare. Poi le mie mani si sono mosse da sole, come se stessero dando voce a quanto avevo dentro. La parte più nascosta continuava a ripetersi una domanda incessantemente.  

“Non mi sento amato”.  

In cima a tutto comparve un saggio “La ferita dei non amati” di Peter Shellenbaum. Inizialmente, pareva quasi essere l’ennesimo Romance strappalacrime, invece l’autore è colui che ha teorizzato questa patologia depressiva, una vera e propria piaga dell’umanità.  

Poi ho studiato e approfondito il tema da solo ed assieme alla mia Psicoterapeuta.  

Io ho la ferita, questa forma depressiva cronica dalla quale è difficile sfuggire e da cui è impossibile guarire del tutto.  

Conoscere il problema e individuarne l’origine, però, costituiscono la chiave di volta per poter iniziare a contrastarne o attenuarne gli effetti.  

Che cosa accade dunque?  

La nostra esistenza ha inizio con il primo atto di non amore/amore: il parto.  

La nostra progenitrice spezza il legame simbiotico, dandoci alla luce e donandoci libertà. 

Il proseguo del cammino di crescita sarà imbastito sull’equilibrio tra amore/protezione e distacco: il primo gradualmente dovrà il posto al secondo.   

L’amore dell’infante, inizialmente condizionato ai propri bisogni primordiali, dovrà essere sostituito da quello incondizionato, che dovrà anch’esso essere insegnato.  

Come?  

Torna in gioco sempre il concetto di bilanciamento: il bambino dovrà ricevere manifestazioni di lode o “disapprovazione” quando servono, ma esse non incideranno sul concetto di amore, che deve rimanere intatto. 

Sol così l’individuo diverrà una persona automa, che nutrirà fiducia nelle proprie capacità e che amerà sé stesso e, conseguentemente, gli altri a prescindere da ciò che sono o danno.  

La ferita è causata da un disequilibrio di tali aspetti: la totale assenza o l’eccesso d’amore (in quest’ultimo caso assolutamente oppressivo), un’eccessiva lode anche in caso di errore ovvero la continua svalutazione di quanto compiuto.  

Comportamenti differenti danno origine alla depressione da non amato che potrà sfociare in svariate patologie psicologiche relazionali (dipendenza, narcisismo, ecc.). Non a tutti accade.  

Peter Shellenbaum, infatti, sostiene che una ferita l’abbiamo subita tutti, ma la cicatrice rimarrà solo nei cuori di coloro che sono per natura più sensibili. Questi in base all’empatia potevano, successivamente, diventare narcisisti o dipendenti. I primi ne sono completamente assenti ed i secondi, invece, spesso soffrono di contagio emotivo (estremizzazione dell’empatia).  

In ogni caso ci si trova a dover affrontare la propria vita sentendosi perennemente incompresi, solo e non amati, a causa di un’esperienza amorosa, la più importante di tutte, deludente che si è radicata così in profondità da influenzare il resto della vita, soprattutto relazionale, ma non solo. Sarà una persona priva di una propria identità, come se fosse un bambino dal carattere ancora non formato, che tenderà a soffrire di patologie camaleontiche, ovvero si adatterà a quanto gli altri fanno e desiderano. Un po’ perché non conosce quanto gli piace ed un po’ perché il suo desiderio è compiacere per essere amato (amore condizionato).  

Le parti di sé che il non amato riterrà essere oscure ed impossibili d’amare, nonostante ciò possa essere una mera fantasia, verranno nascoste e si tenderà a riflettere, come in uno specchio, il partner, credendo così di potersi far amare per sempre.  

Fino a che non si riuscirà ad individuare la ferita ed a determinarne l’origine nulla potrà lenire la sofferenza: non ci si sentirà mai amato del tutto e ci si percepirà sempre fuori posto.  

La speranza di riuscire ad ottenere l’amore, anche quando penseremo di averla persa, rimarrà sempre dentro di noi. È l’unico modo che conosciamo per riuscire a trovare una propria identità e, finalmente, amarla.  

Entrati in una relazione, nella fase della luna di miele, sembrerà di aver finalmente trovato l’amore tanto agognato. Si è al centro del mondo, no?  

“La relazione di coppia si trasforma nell’opportunità tramite cui crediamo di poter guarire una volta per tutte da una ferita d’amore, dalle carenze affettive, dalle delusioni subite durante l’infanzia ed il partner diventa un sostituto di nostro padre o nostra madre (o addirittura di entrambi) e inconsciamente lo invitiamo, talvolta sfidiamo, ad amarci in modo totale, ad accettarci per quello che siamo, ad essere il genitore perfetto che non abbiamo mai avuto, ma abbiamo sempre desiderato”(La via dello yoga). 

L’aspettativa è che una singola relazione possa riuscire a soddisfare pienamente tutte le esigenze: si tenderà ad eliminare le relazioni amicali e affettive, escludendo le altre persone che potrebbero partecipare alla soddisfazione del bisogno.  

Sono naturalmente speranze eccessive che solo una mente bambina può sperare di soddisfare, e tuttavia il nostro inconscio è sempre (o al verificarsi di determinate situazioni) sempre allo stadio infantile: ed è inconscio perché non ha voluto/potuto crescere.  

Inizialmente, dunque, si viene investiti da una vera e propria tempesta ormonale che copre e cicatrizza quella dannata ferita, destinata a riaprirsi alla fine dell’innamoramento. Il passaggio all’amore spoglia l’adulto, lasciando il bambino bisognoso d’affetto a nudo, il quale inizierà a sentirsi nuovamente inadeguato e difettato, indegno di ricevere amore. Si colpevolizzerà.  

Il ferito non vedrà l’amore, anche se questo c’è. Ma molto spesso avrà ragione, perché sarà davvero inesistente. Quella dannata piaga lo porterà, attraverso l’inconscio a prediligere persone totalmente inadeguate, attraverso le quali verrà nutrita quella parte di sé che dubita di poter essere amata.  

L’amore affamato, pertanto, si troverà di fronte persone incapaci di saziarlo ed il successivo necessario distacco, preceduto da paura dell’abbandono, dal delirio da gelosia e dalla ricerca spasmodica di conferme d’amore, aggraverà ulteriormente la ferita. Dalla consapevolezza di non poter essere abbastanza perché l’amore del partner possa durare si passa, post-rottura, alla consapevolezza che presto si verrà dimenticati. Dopotutto non è nulla di speciale, no? 

Cercano nella persona che hanno di fronte un amore che funga da stampella, da metà della mela, perché da soli si sentono incompleti, a metà, finendo per uscirne ancora più acciaccati.  

Molto spesso questa piaga porta a ripercorrere le dinamiche familiari durante l’infanzia in uno schema ciclico. Una parodia di quei film nei quali il protagonista si troverà a rivivere sempre il medesimo giorno.  

Il primo passo per la “guarigione” è la consapevolezza di soffrire a causa di una ferita da non amore “inguaribile”, ma che si può domare, scardinandone le fondamenta, distruggendo lo schema ricorrente, riconoscendo davvero sé stessi.  

Questo è l’unico sistema per prevenire o combattere sin da subito i sintomi della depressione, allontanare il senso di vuoto e, conseguentemente cercare partner che accentuano la sofferenza.  

Importante è il recupero della propria autostima, non semplice, e comprendere che nessuno può amarci più di noi stessi.