Autore: Stefano Luigi Cantoni
Nella commemorazione dei cento anni dalla morte di Franz Kafka, che cadrà il 3 giugno 2024, mi è parso doveroso ricordare, attraverso queste poche righe, uno dei più sensibili e profondi narratori della letteratura moderna.
Lo scrittore cecoslovacco, legato a doppio filo alla natìa Praga, ci ha lasciato un’eredità non da poco e, oltretutto, ha messo in fila una lunga schiera di intellettuali e scrittori che, nelle sue idee, si sono rivisti e ancora si rivedono.
Ciò che caratterizza in maniera indelebile la cifra letteraria di Kafka è la sua necessità (divenuta, tra le pagine, tangibile capacità) di comunicare il malessere tipico della crisi esistenziale che ha attanagliato l’uomo a inizio Novecento (non che ora si stia sereni…)
Sin da piccolo fui colpito dalle pagine del genio praghese, trasudanti visioni a tratti gotiche e, al tempo stesso, colme di momenti anticipatori di parecchie teorie psicanalitiche e sociologiche care ai pensatori del secolo scorso.
Kafka, nel suo non riconoscersi nel mondo in cui si trovava “costretto” a vivere (dalla famiglia alla società, passando per il comune pensare), creò una realtà alternativa, non fisica, immaginaria e (almeno nelle intenzioni) salvifica.
Una realtà che fosse in grado di sostituire l’illeggibile e inspiegabile ingiustizia di cui è vittima il protagonista del Processo (1914-15) o l’alienante trascinarsi tipico del Castello (1922). Capolavori letterari in cui il silenzio, le elucubrazioni e i processi mentali e deduttivi assurgono a veri protagonisti, scalzando il personaggio principale da più punti di vista (a riconferma che, per Kafka, l’individuo si era ormai ridotto a un ammasso di atomi in una crisi esistenziale profonda e irreversibile.)
Una crisi che Gregor Samsa, svegliandosi una mattina nei panni di uno scarafaggio (La Metamorfosi, 1915), incarna come forse nessuno prima di lui: siamo di fronte a un vero e proprio urlo di alienazione e disperazione nei confronti di un universo estraneo.
Una ricerca spasmodica di empatia e rassomiglianza con un procedere globale che appare “altro” rispetto a noi e, al tempo stesso, un senso di terrore (provate voi a svegliarvi scarafaggi!) che percuote le nostre membra in una sorda e disperata richiesta d’aiuto: questo è Kafka.
Difficile non vederci analogie con il nostro vivere quotidiano, prerogativa che solo i grandi classici della letteratura posseggono: parlare attraverso i secoli non è impresa da poco e neppure da tutti, e lo scrittore ceco ci riesce ancora oggi alla grande.
Saperne cogliere l’essenza, d’altra parte, è privilegio solo di coloro i quali, nonostante il tempo, si affidano ancora alla lettura di pagine come quelle sopra citate, capaci (dopo cento anni) di dare ancora voce e volto alle nostre paure.