Autore: Michele Larotonda
Ciao Matteo, intanto grazie per aver accettato il nostro invito. Partiamo dalle tue origini, sappiamo che sei un musicista, che suoni in una band (Sesto Elemento), ci vuoi parlare del tuo universo musicale?
Ciao Michele, intanto grazie davvero di cuore per l’invito a parlare dei miei lavori su questo nuovo spazio che avete creato, un bel “portale” dove trovare stimoli pluridirezionali e senza paletti o imposizioni. Parlare del mio universo musicale è un esercizio assai complesso – devo essere onesto – in quanto è un mondo che si intreccia in maniera carnale con il mio percorso di vita, in un continuo processo di osmosi dove ogni cosa si nutre dell’altra in maniera biunivoca, come peraltro credo debba essere per ogni artista. Posso solo anticiparti che in attesa di festeggiare i 25 anni di carriera dei Sesto Elemento (nel 2023), a breve uscirà un nostro nuovissimo EP intitolato “Eremo” con quattro pezzi composti nell’ultimo anno.
Dopo anni trascorsi sui palchi e in sala prove, decidi di cambiare veste, scrivere e pubblicare il tuo romanzo d’esordio: Siero Nero
Più che “cambiare” veste direi, “ampliare” il mio vestito, estendere la mia modalità comunicativa attraverso un canale che chiede all’ascoltatore, in questo caso lettore, di ritagliarsi del tempo e concedersi l’attenzione di tuffarsi in un universo nuovo, senza fretta. È una dimensione che ha il ritmo diverso dal palco e dalle esibizioni musicali. “Siero Nero” racconta la storia della mia band ma in chiave romanzata, con elementi di pura fantasia che rendono il tutto meno autoreferenziale, ponendosi come romanzo di formazione “musicale” e di vita, rivolto un po’ a tutti quelli che hanno vissuto gli anni d’oro del rock italiano anni Novanta, così vicini ma al contempo così nostalgicamente lontani.
In definitiva questa mia prima “fatica” letteraria è semplicemente un ampliamento del mio raggio d’azione, una necessità di trovare uno sbocco nuovo con cui comunicare alcune tematiche a me care, sviscerandole con maggiore dettaglio e fornendo uno strumento interpretativo diverso dall’ormai sfuggevole forma “canzone”, in cui invito il lettore ad immergersi totalmente nella storia. Diciamo che il mio rapporto con la scrittura c’è sempre stato ma si sta semplicemente diversificando. La scrittura, che metto sullo stesso piano della musica a livello di significato, è un qualcosa di terapeutico: è lenitiva, curativa, corroborante… ci fa stare meglio, sia chi scrive che chi legge. Permette di andare più a fondo e soprattutto, in un’epoca dove la fruizione della musica è diventata velocissima e quasi superficiale, permette di costruire – come accennavo prima – un’isola di quiete.
Tra l’altro mi fa piacere che sia tu a darmi l’imbeccata per parlare anche di Siero Nero, proprio perché come avevo avuto modo di accennarti quando uscì, la scintilla che mi ha spinto a scrivere questo libro è stata la lettura del tuo romanzo “Il sognoscuro” che mi aveva folgorato facendomi balenare in testa l’idea di realizzare un lavoro concettualmente simile per raccontare un frammento della mia vita.
La tua fame di scrittura è talmente tanta che dopo meno di un anno è la volta di Kaeru. Personalmente io l’ho adorato! Perché questa storia e perché così diverso da Siero Nero?
Grazie mille, mi fa estremamente piacere, anche perché ho fatto una scelta rischiosa: dopo essermi creato un (seppur piccolo) pubblico affezionato alle vicende di Kabra, ho scelto di seguire l’istinto e non cavalcare l’onda solo per compiacere i lettori. “Siero Nero” era una sorta di bilancio di cui necessitavo e che mi è servito a capire quanto la scrittura – anche in questa forma – potesse generare interesse e curiosità, come per la musica. Si tratta semplicemente di un “modus comunicandi” diverso nella forma e ognuno dei due ha dei pregi e dei difetti, ma a me piace terribilmente sperimentare! E nel mio background culturale c’è sempre stata la passione e la curiosità per il surreale.
Non è semplice definire una singola cosa che mi abbia ispirato, si tratta di suggestioni, di momenti, magari accumulati nel tempo, negli anni. Sono sempre stato appassionato di storie surreali, di situazioni destabilizzanti e dunque nel mio subconscio c’è sempre stata una componente di questo tipo anche se poi nel dettaglio chi legge “Kaeru” potrebbe ritrovare dinamiche pirandelliane (soprattutto “Fu Mattia Pascal” o “Uno, nessuno, centomila”) e atmosfere orwelliane (1984), che sono riferimenti innegabili, ma alla base c’è qualcosa di più cinematografico, come poi suggerisce anche lo stile di scrittura veloce e ritmato: il film “The Truman Show” e la vecchia serie televisiva “Ai confini della realtà”.
Faccio un po’ l’avvocato del diavolo, ma tu stesso hai ammesso che in kaeru ci sono dei rimandi a Truman Show. È casuale, voluto o è un modo di esorcizzare una sorta di paura di un mondo sotto controllo.
Non c’è casualità ma neppure paura. Io ho cercato di raccontare una storia con tanti significati, ma anche con la possibilità di essere letta e interpretata semplicemente come un curioso intreccio sci-fi thriller, senza particolari retro-pensieri. Il tema di base però è una riflessione sulla condizione umana, senza fornire risposte – che comunque nessuno avrebbe – ma cercando di instillare dubbi e domande nel lettore per stuzzicare un’elaborazione critica sul nostro presente: sappiamo realmente quali sovrastrutture ci governano? Siamo davvero liberi di scegliere? E quando pensiamo di essere liberi, riusciamo a svincolarci dalle necessità e dal tornaconto egoriferito? Senza scomodare i mostri sacri, “Kaeru” rovescia il senso di eroe che fu per Platone nel suo mito della caverna: in quel caso l’uomo si rendeva conto di aver vissuto da sempre vedendo ombre proiettate sulla parete, e improvvisamente capiva che c’era una realtà al di fuori da quella che lui riteneva essere l’unica verità empirica possibile. Il suo tentativo era poi quello di convincere gli altri abitanti della grotta che il mondo reale era fuori ed era assai diverso. Nel caso del protagonista del mio romanzo accade esattamente il contrario: Marcello si trova calato in una realtà nuova da un giorno all’altro, una vita totalmente diversa dalla sua, e nonostante questa sia fasulla e costruita, lui vorrà vivere in quella sua nuova esistenza parallela.
Cosa pensi dell’editoria emergente?
Penso che ci siano moltissime cose interessanti e personalmente, negli ultimi anni, leggo più autori emergenti rispetto a scrittori affermati. Ci trovo spesso una maggior genuinità, una freschezza intrigante. Chiaramente a volte si incappa in qualche delusione, ma è lo stesso per autori maggiori, no? La cosa curiosa però è che ho voluto testare anche il mondo dell’editoria, dopo quello musicale, e ho riscontrato le medesime problematiche: un mercato saturo, dove spesso case editrici (nella musica, etichette disografiche) si fanno pagare e sfruttano la voglia di emergere degli autori tralasciando l’attenzione e la cura che meriterebbe chi si mette in gioco, un oceano dove c’è un tale eccesso di proposte – anche di livello – che il rischio di essere gocce che si perdono nel nulla è elevatissimo. Di riflesso la curiosità dei lettori è sempre minore, forse anche per un senso di disorientamento e a causa di quessto bombardamento di proposte. La tecnologia ha avuto il “pro” di favorire chiunque si voglia mettere in gioco scrivendo e pubblicando, generando però i “contro” di cui accennavo poc’anzi.
I tuoi progetti futuri, sia nella musica che nella scrittura?
Sulla scrittura ho deciso di fermarmi momentaneamente per dare il tempo a Siero Nero e a Kaeru di arrivare a più persone possibili. Mettermi subito su un nuovo lavoro al momento non era una mia piorità e non avevo il giusto stimolo anche perché sono stato molto concentrato sulle registrazioni e la composizione del disco in uscita con i Sesto Elemento e un po’ alla volta comincerò a metter la testa sull’organizzazione dei 25 anni della nostra band. Inoltre in dicembre ho fatto uscire un singolo da solista, un pezzo diverso dal mio solito con cui ho voluto sperimentare sonorità new wave ed elettroniche (Matteo Kabra Lorenzi, ‘cause time has come, lo trovate su tutte le piattaforme).
Diciamo che finché si può dar libero sfogo alla creatività sono la persona più felice del mondo!