Autore: Michele Larotonda
Quando sentiamo parlare di editoria a pagamento, almeno per noi che viviamo di e per le parole, è innegabile inorridire solo al pensiero.
Eppure, è una realtà che esiste e che, per quanto gli sforzi siano tanti, avrà ancora vita lunga. Almeno fino a quando (non) esisterà, da parte degli scrittori o autori, quella che viene chiamata comunemente “smania di pubblicazione”.
Ora non starò certo ad elencare i pro (pochi) e i contro (tanti) della scelta di affidarci ad un EAP, non è questo il luogo, il momento e l’articolo.
Questo preambolo solo per svelarvi un grande segreto, che poi tanto non lo è 🙁 e vale a dire che) in passato, autori immensi come Eco, Moravia, Bevilacqua hanno dovuto pagare la pubblicazione di alcuni loro primi scritti. Lo so, la domanda nasce spontanea: “Se l’hanno fatto loro, perché non posso farlo io?” La risposta è una sola: “Proprio perché loro sono loro e tu sei tu”.
Magari è una risposta banale, ma bisognerebbe smettere di seguire il gregge, se ti dicessero che per diventare il nuovo Moravia ti devi lanciare da un precipizio senza paracadute, lo faresti?
Ad ogni modo, gli autori sopracitati, hanno vissuto questa condizione solo una volta nella loro carriera, ma esiste anche chi ha pubblicato solo tre opere e per tutte ha dovuto pagare e nonostante questo il successo non è mai arrivato, se non dopo la sua morte.
Sto parlando di Aron Hector Schmitz, meglio conosciuto come Italo Svevo.
In quest’anno si sono festeggiate diverse ricorrenze (Calvino, Dante, Manzoni), ma anche Svevo va ricordato perché ricorre il centenario dalla pubblicazione de “La Coscienza di Zeno”, da molti ritenuta l’opera definitiva dedicata all’inettitudine dell’uomo. Un tema che l’autore triestino aveva affrontato anche nei romanzi precedenti (“Una Vita” e “Senilità”), ma che nella storia di Zeno Cosini viene amplificata all’ennesima potenza.
Facciamo un piccolo passo indietro.
“Una Vita” e “Senilità” erano state delle cocenti delusioni e dopo aver visto che i suoi primi due romanzi non avevano riscontrato il favore del pubblico, Svevo aveva deciso di essere uno scrittore della domenica, vivere da ricco buontempone, concentrarsi sullo studio del violino e interessarsi solo ed esclusivamente agli affari della sua famiglia. Lui stesso scrive nei suoi diari: “Io con questa cosa stupida che chiamiamo letteratura ho chiuso”.
Durante un pomeriggio si ritrova a leggere l’”Interpretazione dei Sogni” di Sigmund Freud, lettura che si rivela come un’illuminazione. Torna l’ispirazione e inizia a scrivere quello che, secondo lui, lo consacrerà definitivamente agli occhi della critica e del pubblico. Un’opera psicoanalitica, dove il tempo della narrazione e la lingua italiana vengono usati in una maniera completamente diversa, dove i capitoli affrontano diversi temi: il vizio del fumo, la morte del padre, il matrimonio e così via discorrendo, facendo entrare noi lettori nella vita di Zeno Cosini, che possiamo considerare a tutti gli effetti l’alter ego di Svevo stesso.
Una struttura e un’invenzione tematica che non hanno pari, dove il genio dello scrittore sta nel rendere espliciti i limiti e trasformarli in risorse.
Purtroppo, anche questo romanzo non incontrerà i favori del pubblico, probabilmente perché Svevo era troppo moderno per la sua epoca e questo è lo scotto da pagare di chi cerca in tutti i modi di non essere allineato con quello che si trova e si legge in giro.
Svevo non vivrà abbastanza a lungo per godere del successo, del riconoscimento del suo lavoro, grazie all’articolo di Eugenio Montale sulla rivista “L’Esame” dedicato alla sua “Coscienza di Zeno” ed agli sforzi disumani di James Joyce (suo grande amico) per farlo conoscere negli ambienti letterari di Parigi.
Resterà sempre un aspirante scrittore, senza mai sapere che la sua inettitudine era solo di facciata e (che) forse il suo insuccesso non lo toccava più di quel tanto. Almeno questa è l’impressione che ho sempre avuto durante gli anni in cui le mie letture hanno incontrato le parole e il genio di Italo Svevo.