Autore: Stefano Luigi Cantoni
Ah, il mondo degli scrittori emergenti! Sogni a denti stretti condivisi con altre anime simili alle nostre, speranze custodite in comune tra le pieghe semibuie delle nostre stanze, unione d’intenti perché, si sa, insieme si arriva ovunque. O quasi. Che fantastico e mirabile mondo sarebbe quello in cui una comune allegra e spensierata, composta di soli scrittori emergenti, governasse con rettitudine il Paese, indirizzando le sorti del nostro vecchio e bislacco stivale verso porti fatti di libri, atlanti e dizionari. Bello, non trovate? Potremmo definirlo (a sottovoce, mica che lassù ci sentano) il trionfo della scrittura. Una sorta di dittatura al rovescio, in cui non vi sono paletti, non vi sono esclusioni di sorta, non v’è obbligo di dire fare pensare una determinata cosa. Un’anarchica ed educata rivoluzione letteraria, capace di permeare col suo lento e malizioso frusciare di pagine il vivere quotidiano di tutti noi. Potremo finalmente ritrovarci tutti assieme, noi scrittori emergenti, abbracciati idealmente in un unico grande respiro, un sentire fisico che, a guisa di invisibile collante, ci proietterà nel sogno che ha animato per anni le nostre tristi esistenze: vivere di scrittura.
Oh, che agrodolce chimera! Sguazzare finalmente in un mondo senza malizia, povero di sotterfugi, del tutto privo di competizione. Un universo leggero, fatto di elio, in cui le spade sono le penne stilografiche, i contratti di sfratto i romanzi, il denaro un ambitissimo premio letterario. La nostra gioia sarà solo ed esclusivamente nel far parte di questo profumo di antico, di sapere, di pagina ancora da scrivere. Non ci preoccuperemo più di arrivare a fine mese con cinque lavori differenti, nessun calcolo, nessun’ansia circa il futuro: tutto, a un tratto, brillerà di luce propria. Ogni cosa risulterà chiara, ogni via segnata, ogni passo sicuro. Ah, le meraviglie della scrittura! Saremo tutti fratelli, il successo di uno sarà il successo di tutti e, nemmeno a dirlo, fungerà da inarrestabile spinta verso l’altrui miglioramento, in un vorticoso climax ascendente verso il bello. Una platonica società in cui il bene e la conoscenza sono essi stessi motivo di vita, causa ed effetto del sentire, del respirare, dell’esistere. L’immagine di una nuvola sempre più chiara e accecante inizia a filtrare da una porta laterale, si fa sempre più luminosa fino a che, tutto a un tratto, ciò che deduco essere il soave mondo degli scrittori emergenti diviene sfocato e, a poco a poco, buio. Un urlo mi coglie, nel riaprire gli occhi. Prendo il telefono e scorro la home, alla ricerca dei miei colleghi. Nel contare i followers di ognuno di loro, un crampo allo stomaco mi prende, giuro che non è invidia, solo indigestione. Siamo tutti una grande famiglia, figurati se possa esser contemplata la parola gelosia. Mi alzo, bevo un sorso d’acqua, quindi ritorno sulla home del mio social preferito ed ecco che laddove prima regnava amore ora regna odio, dove era di casa l’umiltà ora vige saccenza. Mi manca l’aria, dove sono finiti i mei compagni di vita, dov’è la repubblica del sapere, la dittatura della carta? Preso dalla disperazione spengo il telefono, mentre un sospetto si fa a poco a poco triste certezza dentro la mia testa: è nella loro melliflua inconsistenza che i sogni ci danno l’illusione di poter divenire realtà.