Autore: Anita Orso
Bentrovata Lucia, La ringrazio molto per aver accettato di fare quattro chiacchiere con noi del Barnabò e sono molto felice di poter parlare con Lei di cinema.
Per chi ancora non conosce la nostra ospite, la introduco brevemente.
Lucia Zanettin originaria di Vicenza, vive in provincia di Trento. Avvocato, documentarista, regista e sceneggiatrice. Si occupa di opere cinematografiche e lungometraggi. Fondatrice della casa di produzione video e cinematografica Lilla Film.
1.Lucia, so che Lei è una viaggiatrice avventurosa, di quelle che si mettono lo zaino sulle spalle e partono ad esplorare le terre, le montagne, i mari e così via. Non è la tipica viaggiatrice da resort e spa che sta sdraiata senza muovere un piede. La sua passione per i viaggi l’ha portata frequentemente a visitare l’Africa e l’Oriente e, ad un certo punto, ha deciso di documentare i luoghi visitati con delle riprese video. Ci vuole raccontare come è diventata documentarista?
Sono una persona passionale e le mie grandi passioni hanno spesso condizionato la mia vita. I viaggi mi hanno portato a vedere cose meravigliose, ma fino al viaggio in Togo non nutrivo alcun interesse per le telecamere e l’idea di diventare regista non mi aveva neppure mai sfiorato. Un giorno mi trovavo in un piccolo villaggio del Togo, dove, al suono dei tamburi, si teneva un interessante rito Vudu. Mio marito, da sempre appassionato di fotografia, aveva con sé, oltre alla macchina fotografica, una piccola telecamera, e decideva di affidarmela, poiché non riusciva a fare foto e video con due macchine diverse. Era il 2008, ed i cellulari non facevano ancora le foto! Improvvisamente, qualcosa è scattato in me. A volte, scherzando, io e mio marito diciamo che durante il rito Vudu, l’anima di qualche regista si è impossessata di me! Da quel momento, il video è divenuto una parte essenziale della mia vita.
2.Dai cortometraggi documentaristici è passata a realizzare lungometraggi di fiction. I primi presentano solitamente degli aspetti sconosciuti della realtà, hanno a che vedere più con l’immaginario che con il reale, mentre i secondi richiedono una struttura diversa; un testo narrativo che prenda in carico la storia da raccontare che a differenza di un romanzo, composto soltanto dalla lingua, comprende immagini, parole, rumori e musica. Che cosa le ha fatto scattare la scintilla per darsi alla fiction? In cosa ha riscontrato maggiori difficoltà a livello registico?
Il passaggio da documentarista a regista di fiction è stato graduale. Infatti, ho sperimentato con le prime opere che riguardano l’ambiente montano, vale a dire “Solo di domenica”, “ Il Fronte di Fronte”, e per ultimo con “Le stelle di Celi”, diverse sfumature di racconto, che mi hanno portato, nella mia continua ricerca di espressione, ad approdare alla fiction. Per me rappresenta il massimo della creatività. E’ meraviglioso poter raccontare la realtà, ma ancor più far nascere e vivere dei personaggi solo miei, che divengono “reali” solo sullo schermo. È la grande magia del cinema. Certo, le difficoltà, con la fiction, aumentano in modo esponenziale. A volte risulta difficilissimo riuscire a ricreare certe situazioni, che nella vita reale risultano banali, e molte volte occorre anche fare dei compromessi fra quella che è l’idea e la possibilità di realizzarla, soprattutto nel caso di opere a low budget. Ma la gioia della “creazione” è comunque immensa.
3.Il suo primo film di fiction, uscito nel 2019, è “La val che urla” girato nelle valli bellunesi e trentine. Come mai ha scelto di girare un film in un ambiente montano solitamente più “critico” per allestire un set cinematografico ed effettuare delle riprese? Perché un film noir?
Come ho detto prima, sono una donna passionale e la montagna è una delle mie più grandi passioni, condivisa con il marito, al punto che da sei anni abbiamo deciso di lasciare la città per trasferirci in un piccolo paese di montagna in Trentino. La montagna è anche, per me, una grandissima fonte di ispirazione. È un volano per le mie storie, ad oggi penso che non riuscirei a raccontare, se non in ambienti che mi sono congeniali. Montagna ed Africa sono i miei due luoghi del cuore, e solo dove c’è il cuore possono nascere le storie. Sono, per mia fortuna, molto libera nelle mie espressioni, e faccio solo film che mi piacerebbe andare a vedere. Non escludo nulla nella vita, ma ad oggi non sono molto attratta dalle commedie. Un pizzico di mistero aiuta a viaggiare con la fantasia, perché farne a meno?
4.“La val che urla” ha partecipato alla selezione nel 2020 del David di Donatello in quella occasione ha incontrato il critico cinematografico Adriano Aprà che ha apprezzato il suo film tanto da portarlo alla Casa del Cinema di Villa Borghese a Roma, nella sezione “fuorinorma”. Ci può raccontare che cosa ha significato per Lei questa esperienza? Da regista, quanto conta la critica degli addetti ai lavori rispetto a quella del pubblico spettatore?
L’incontro con Adriano Aprà è stato un piccolo miracolo della vita. Il mondo del cinema è molto chiuso, ed è difficilissimo confrontarsi con l’industria cinematografica per chi, come me, può paragonarsi tutt’al più ad un semplice artigiano. Sono mondi diversi e paralleli, destinati a non incontrarsi mai, se non fosse per persone come Adriano, che appunto fa della sua vita una missione alla ricerca di nuovi talenti.
Dal punto di vista personale, scoprire pubblicamente che Adriano Aprà, giurato del David di Donatello 2020, ha votato “La Val che Urla” come miglior film italiano 2020, e Fiammetta Nena, protagonista dello stesso, come migliore attrice esordiente, mi ha riempito di commozione. È stato un momento che non dimenticherò mai nella vita, poiché mi ha ricompensato di tanta fatica e anche di sofferenza. Mi sono sentita capita ben più a fondo di quanto avessi mai osato sperare. Certo, l’apprezzamento del pubblico è importantissimo, e proprio grazie al pubblico, che ha sempre amato le mie opere e mi ha sempre sostenuto, sono riuscita a crescere. Mi auguro che, in futuro, questa dicotomia fra critica e pubblico tenda a sfumarsi. Non è forse così che torneranno le persone al cinema?
5.In autunno uscirà nelle sale la sua nuova produzione: “Malacarne”. Peraltro, non abbiamo detto che la casa di produzione dei suoi film è “Lilla film” ed il produttore è suo marito, Davide Casadio.
Mi verrebbe da chiedere com’è lavorare con il proprio compagno di vita? Ma Le lascio la scelta se rispondere o meno! In ogni caso anche questo suo ultimo film è stato girato in montagna, in alta quota fino a 1800 metri. Quale significato attribuire al titolo? Dal trailer (che consiglio ai nostri lettori di guardare, perché è già indicatore di un’alta aspettativa) sono rimasta colpita dalle seguenti battute:
padre al figlio: e cosa vuoi fare?
figlio al padre: vivere, sentirmi libero.
Padre: avevo un figlio uno solo e non so più dove sia.
Barista al padre: una montagna schifosa porta via la gente.
Già da queste battute emergono dei tratti significativi che fanno percepire il mondo interiore dei personaggi ce ne vuole parlare brevemente senza anticipare la storia?
“ Malacarne” è un film nato durante il primo rigido lockdown. Chiusa in casa, io sognavo avventure senza fine, e le mie avventure mi portano sempre in alto, e quindi, ad una montagna senza nome e con un tragico destino.
Il titolo prende vita proprio da un luogo magico del Lagorai, “le Buse di Malacarne”, trasfigurato nel racconto, ultimo luogo che può essere raggiunto, per ammirare La Montagna. Ma “Malacarne” è anche sinonimo di carne cattiva, di persone buie, malvagie. Piano, piano nella storia, si sveleranno piccoli misteri, che ci porteranno a conoscere meglio i personaggi. Il figlio Simone che sembra così libero e solare, in realtà è condizionato nel suo agire. Il padre Giovanni, alla ricerca non solo del figlio, ma soprattutto di risposte.
La barista Maria, silenziosa e scura, come la Montagna che porta via la gente. La guida Albert, interprete del cammino, la malgara Mirka, inserita come nessuno nell’ambiente circostante.
Pochi personaggi si muovono sotto il cielo che sovrasta l’unica vera protagonista: la Montagna.
Piccola riflessione sui rapporti fra marito e moglie: sono una donna estremamente indipendente e nella vita mi ero ripromessa di non lavorare mai con mio marito! Ma il destino ha voluto diversamente e devo dire che niente di tutto questo esisterebbe se non ci fosse stato lui al mio fianco. Davide, oltre che produttore, è l’altra metà del cielo, perché ha messo tutte le sue competenze tecniche a disposizione della mia creatività. È solo grazie a questo che, ormai, possiamo realizzare i sogni cinematografici che sono divenuti comuni.
6.Parliamo ora degli attori di “Malacarne”, il protagonista è Piergiorgio Piccoli che ha interpretato il ruolo principale anche in “La val che urla”, Samuele Ferri, Sofia Vigliar, Anna Zago e Fabio Barone; da regista, quando fa i provini per scegliere gli attori, ricerca i caratteri e la personalità dei personaggi oppure valuta anche altro e, se è un sì, che cosa?
I provini sono un momento importante per scegliere gli attori, anche se, a volte, sono per forza di cose un po’ limitanti. Se pensate che tutti i provini per “Malacarne” causa la pandemia, sono stati effettuati da remoto, capite che certamente si deve essere un po’ elastici nel valutarli!
Scegliere gli attori di un film, tanto più se sono pochi come succede per “ Malacarne”, ovviamente, costituisce un tassello fondamentale. Anche qui mi faccio guidare dall’istinto, a volte anche durante un provino si stabilisce un feeling che diventa importante per “smussare” le difficoltà in sede di ripresa.
A volte, invece, si cerca proprio quel tipo di attore, indipendentemente dalla “sensazione di pelle” che rappresenta, anche fisicamente, l’idea del personaggio: nel cinema, inutile nasconderselo, anche la “faccia” ha un’importanza fondamentale.
In “Malacarne”, la scelta più difficile è stata quella del personaggio di Simone: abbiamo fatto tanti provini, ed alla fine siamo felicissimi della scelta fatta. Fabio Barone ha dato al personaggio una personalità ben definita, proprio quella che cercavamo da tempo. Il pubblico ci dirà se abbiamo avuto ragione, ma io sono sicura di sì…
7.Ha un aneddoto divertente avvenuto con uno o più attori durante le riprese di “Malacarne” da condividere con noi?
Durante le riprese di Malacarne, abbiamo girato molti giorni presso una vera malga in funzione, con tanto di animali che sono divenuti protagonisti del nostro film. Fra questi, tre cuccioli di cane pastore hanno conquistato il cuore della nostra protagonista Sofia Vigliar, che nelle pause fra un set e l’altro, li coccolava, assolutamente ricambiata. Sembravano tenerissimi. Un giorno, mentre stavamo girando, i tre cuccioli inaspettatamente sono partiti a caccia di una gallina che si è messa starnazzare, spaventatissima! Solo l’intervento di Davide è riuscito a salvare la gallina, mentre ovviamente, le riprese sono state interrotte. Noi ci siamo divertiti, la gallina certamente molto meno!
La nostra chiacchierata è giunta al termine, ma prima di salutarci, Le chiedo di elencarci tre motivi per cui i nostri lettori del Barnabò dovrebbero andare al cinema a vedere “Malacarne”.
Perché è un film pieno di vita, di cose belle, di cielo.
Perché è un film pieno di mistero.
Perché è un film che fa sognare.
Grazie Lucia! Il Barnabò augura al suo prossimo film in uscita il meritato successo. Buona fortuna per il suo mestiere di regista!