Autore: Heiko H. Caimi
Il sole accarezzava la pelle di Paolo con dolcezza quasi materna. Disteso su un prato verde, nel mezzo di una radura che sembrava ritagliata apposta per lui, si lasciò andare alla crescente sensazione di benessere: l’erba fresca sotto il corpo, i suoni della natura che lo circondavano in un abbraccio rassicurante lo indussero a chiudere gli occhi, permettendo a un dolce torpore di scivolare su di lui come una coperta leggera.
Mentre si abbandonava al sonno, però, un fremito leggero sulla sua guancia lo fece sussultare. Aprì gli occhi, infastidito. Era solo una formica, piccola, insignificante, eppure incredibilmente fastidiosa. La scacciò con un rapido movimento del dito medio fatto scattare a molla sul pollice, sperando che l’intrusa capisse l’antifona e lo lasciasse in pace. Dopo quella terribile settimana di lavoro e dopo aver sopportato le lamentele di sua moglie, che era sempre scontenta di tutto, doveva ben potersi concedere un po’ di meritato riposo.
Non passò che qualche istante: udì un ronzio vicino all’orecchio. Un’ape, o forse una mosca. Cercò d’ignorarla, ma il ronzio divenne più persistente, come una domanda alla quale si rifiutasse di rispondere. Si girò sull’altro lato, sperando che bastasse ad allontanare quell’essere insignificante facendogli capire che non era il benvenuto.
Ma il ronzante non se ne andò; anzi, se ne aggiunsero altri, con ronzii di vari toni e intensità. Sembrava che quegli insetti avessero deciso di radunarsi proprio intorno a lui. Il prato, che solo un momento prima gli era sembrato un’oasi di pace, ora si animava di una moltitudine di piccole vite, tutte concentrate su di lui. Formiche che gli camminavano sulle gambe, api che gli danzavano sul naso, coccinelle che gli esploravano il terreno come turiste curiose.
Paolo balzò a sedere. «Ma che diamine…», mormorò, e fece alcuni rapidi e convulsi movimenti con le braccia e con le mani cercando di sfuggire all’assalto. Ma, più si agitava, più gli insetti sembravano determinati a perseguitarlo.
Paolo stava per urlare, esasperato, quando udì una vocina, sottile e stridula come il suono delle ali di un moscerino. «Ehi, umano, ti disturba così tanto la nostra presenza?».
Paolo si bloccò, incredulo. Si guardò intorno, cercando di capire donde provenisse quella voce. Sicuramente si trattava di uno stupido scherzo. Ma non c’era nessuno, solo lui e gli insetti. Stando nel mezzo della radura, avrebbe ben visto se c’era qualcun altro.
«Chi ha parlato?» chiese, pensando di stare impazzendo.
«Siamo noi, qui sotto», rispose un’altra voce, questa volta più simile al fruscio di una foglia agitata dal vento. «Noi, quelli che voi umani chiamate insetti».
Paolo si levò in piedi di scatto, cercando di capire se stesse sognando. «Voi… parlate?».
«Parliamo da sempre» rispose una coccinella, arrampicandosi con calma sulla foglia di una betulla, vicino al suo volto. «Solo che voi umani non vi degnate mai di ascoltare. Così abbiamo rinunciato a discutere con voi».
«E perché avete cambiato idea adesso? Perché proprio con me?».
«Perché oggi sei l’unico che ha invaso il nostro territorio, umano» rispose una formica rossa, avanzando con passo deciso sulla sua mano con tutte e sei le sue agguerrite zampette, «e già pensavamo di goderci una bella giornata di quiete quando sei arrivato tu».
«Ma io…».
«Questo prato è casa nostra», l’interruppe la formica, «e tu sei solo un intruso. E poi» aggiunse con tono risentito, «perché ci consideri fastidiosi?».
«Beh, ma perché lo siete!» replicò Paolo, cercando di difendersi. «Non posso nemmeno riposare in pace senza che qualcuno di voi mi cammini addosso o mi ronzi intorno!».
A quel punto, un’ape si avvicinò al suo volto, sospesa in aria a pochi centimetri dal suo naso. «E tu pensi che a noi faccia piacere la tua presenza qui? Ogni volta che uno di voi umani calpesta questo prato, o ci si distende, schiaccia il nostro mondo, distrugge le nostre case, calpesta le nostre vite!».
«Ma io…» si ripeté Paolo. «Io non volevo…».
«Sì, certo, non volevi», l’interruppe l’ape sottolineando le parole con una ronzata virulenta. «Ti sei mai chiesto come ci sentiamo noi? Perché dovremmo essere allegri mentre invadi la nostra casa? Il mondo non ruota intorno a te, umano! E noi non siamo qui per il tuo divertimento!».
Paolo rimase in silenzio, colpito dalle parole di quegli esseri minuscoli. Non aveva mai pensato al prato come a una casa, al fatto che potesse essere un mondo intero per qualcun altro. Per lui, era solo un posto dove sdraiarsi, dove rilassarsi. Ma per gli insetti, era tutto ciò che avevano. Porca miseria!
«Non ci avevo mai pensato in questo modo» ammise, abbassando lo sguardo. «Ma cosa dovrei fare? Non posso mica smettere di godermi la natura, no? O convincere il resto dell’umanità a non frequentare questo parco».
La coccinella rise, un suono simile a un fruscio d’erba. «Non ti stiamo chiedendo di smettere di goderti la natura. Ma forse, potresti imparare a farlo con più rispetto. Siamo tutti parte di questo mondo, umano. Nessuno di noi è più importante degli altri O pensi che perché sei più grosso hai sempre ragione tu?».
Paolo annuì lentamente. «Avete ragione. Forse sono stato egoista». Eppure sentiva che quell’ammissione gli costava. E i rimproveri della coccinella assomigliavano tremendamente, nel tono, alle reprimende che gli faceva sua moglie.
L’ape gli si avvicinò ancora un po’, posandosi con delicatezza sulla sua spalla. «Il rispetto è tutto ciò che chiediamo. Noi siamo qui da sempre, e continueremo a esserci, che ti piaccia o no. Ma possiamo coesistere, se solo lo vogliamo».
Paolo fu preso d’improvviso dal desiderio di schiacciare l’ape tra le due mani, con un movimento rapido e letale. Ma sapeva che sarebbe stato punto. E che tutti quegli insetti, che continuavano a circondarlo, erano maggioranza. Allora, anche se indispettito di dover sottostare al colere di quegli esseri minuscoli e insignificanti, fece buon viso a cattivo gioco e si stese nuovamente, questa volta con maggior cautela. Sentiva ancora gli insetti muoversi intorno a lui, ma ora non gli camminavano più addosso e non venivano a ronzargli vicino all’orecchio. Si sentiva più infastidito dalla loro superiore saggezza, ora, ma doveva ammettere di sentirsi anche più sereno. Anzi, quella sorta di pax insectorum gli dava l’occasione di avvertire per la prima volta una specie di connessione con quelle piccole creature. Erano parte di qualcosa di più grande, un’armonia che non aveva mai vissuto prima.
Chiuse gli occhi e sorrise, cosciente che l’intelligenza aveva prevalso sul desiderio di spiaccicarli tutti. Lui, che aveva ammazzato mosche e zanzare a decine di migliaia, ora sentiva di poter accettare la loro presenza come parte del mondo, di quel mondo in cui lui era solo un piccolo, insignificante frammento. E si addormentò, avvolto in una pace che non aveva mai conosciuto prima, riuscendo anche a non pensare a sua moglie.