Autore: Stefano Luigi Cantoni
Partire col piede giusto è senza dubbio importante, che si tratti di una storia da raccontare, di una svolta personale o, persino, di una fase più riflessiva del percorso chiamato “vita”. L’inizio, la partenza, lo strappo che ci discosta dal presente è oltremodo sfaccettato e presenta molteplici letture degne di essere approfondite.
Partendo dalla narrativa, l’incipit è la porta che consente al lettore di fare il suo ingresso nella storia: un passaggio delicato ed inevitabile verso un mondo che non è il suo e che, a dirla tutta, non è forse di nessuno. Un atto di fede dettato da una forza magnetica e inspiegabile, una vera e propria attrazione irresistibile verso qualcosa che si ha necessità di scoprire.
L’incipit in medias res, come si è soliti chiamarlo in narratologia, catapulta i lettori nel cuore dell’azione, frantumando nel giro di un paio di righe ogni certezza precostituita. Nella miglior tradizione, da Cervantes a Borges, passando per molti altri, sostituire il mondo esistente con il mondo-finzione è veicolo di salvezza, valore e senso, liberando chi legge dal peso del banale.
Un mondo-finzione che si può gustare anche passo per passo, arrivandoci quasi fossimo accompagnati per mano: l’incipit descrittivo, prendendo “alla larga” la storia, ci rende meritevoli del premio. Celebre fu Eco nel sostenere che il lettore dovesse resistere alle prime cento pagine per potersi guadagnarsi il diritto di godere dell’opera nella sua interezza.
Eppure l’incipit è interpretabile anche come una partenza in grande stile, col piede giusto. Un affermarsi fisico e innegabile che, oltre a darci conferma di essere nel posto giusto al momento giusto, conferisce valore aggiunto al pensiero e all’esistenza che conduciamo. Entrambi i paradigmi, difatti, si intersecano in una imprescindibile e vicendevole necessità, legati da una logica atavica e immutabile (cogito ergo sum, diceva Cartesio).
E che dire degli incipit incerti e non del tutto manifesti? Troppo facile aver chiaro sempre tutto, cari miei. La vera sfida è affrontare l’inizio della nostra personalissima storia laddove, per metà, prevalgono dubbi e incertezze.
Nella luce si scorgono meglio le sagome, ma è nella penombra che gli occhi si abituano a tinte e colori insoliti, diversi, talvolta destabilizzanti ma spesso più autentici. Lasciare un incipit vuoto per metà non è sintomo per forza di debolezza o insicurezza, tutt’altro: preferisco intenderlo come desiderio di abbandonarsi alla piega dolce del vento, assecondandone la corrente.
Iniziare, al di là di tutto, porta sempre da qualche parte: cogliere una vibrazione nel mondo e farla propria è un dovere, prima ancora che un diritto. Dar senso a un pensiero, a un’intuizione o a un’inclinazione è, a tutti gli effetti, una delle forme più alte di coraggio, valore che non ha nulla a che fare con la forza o la prevaricazione ma che attinge, con cosciente dignità, dalla storia che ognuno di noi vive e scrive ogni giorno.