Autore: Antony Russo
“Nessuno è perfetto” è una nota frase del celebre cult A Qualcuno piace Caldo e per la rubrica che parte oggi sulle nostre pagine, calza davvero a pennello. Ci sono situazioni che si vivono durante la propria esistenza e che ci costringono a scontrarsi con la parte più oscura della nostra anima. Situazioni che sradicano mostri, paure e debolezze di cui avevi solo sentito parlare. Quel mito della perfezione, assieme alla sua ipocrisia, crolla come un castello di carte e insieme ad esso, tutte le nostre convinzioni. Avevamo frainteso… non avevamo fatto i conti giusti.
LA REDAZIONE
ATTO ZERO
Il sapore dell’acciaio freddo preme contro le pareti della mia bocca, mentre lacrime calde mi solcano le guance.
Ecco l’atto primo per eccellenza, il vagito con il quale il bambino viene alla vita. Il mio corpo trema.
Mi risveglio da un incubo ad occhi aperti. È come quando sogni di cadere nel vuoto e ti svegli d’improvviso.
Quale era stato il famoso “pizzicotto?”
Il nervosismo probabilmente, cresciuto sempre più, aveva toccato il massimo picco? Forse, ma c’era anche l’estremizzazione del gesto che stavo compiendo, unito al picco di adrenalina.
In quello slancio d’improvvisa lucidità passo in rassegna i ricordi stipati nella mente: il mio corpo è sempre stato percorso da leggeri sussulti sin dalla giovinezza, capaci di intensificarsi soltanto in presenza di una forte emozione.
Avevo sentito tante teorie: forse si trattava di tremore essenziale, era ovvero causato dai miei nervi messi a dura prova dalle sofferenze subite durante la crescita.
Non lo sapevo.
Ero certo di una sola cosa, non ero mai stato tanto forte.
Percepisco il pericolo che corro: la canna della pistola è ancora conficcata dentro la mia bocca, il dito posato sul grilletto a doppia azione, ha superato il primo ostacolo.
Sarebbe sufficiente una leggerissima pressione, un breve sussulto di questo fortissimo tremore e, contro le pareti dietro alle mie spalle, finirebbe tutto il contenuto della scatola cranica intriso della mia essenza.
Ricordi, sensazioni e sogni formerebbero una beffarda opera d’arte, nonostante all’apparenza ogni cosa sarebbe indistinguibile.
Una volta fuoriuscito diventerebbe un ammasso indistinto di materia cerebrale. Impossibile per altri distinguerne gli elementi o interpretarne i contenuti.
Un ironico riflesso di ciò che è la vita no? La nostra identità e le speranze rimangono tali solo dentro di noi, sbiadiscono laddove vengono svelati.
Perché in fin dei conti gli studiosi cercano di dare le più disparate interpretazioni alle opere d’arte, ma ci si è mai soffermati a pensare se effettivamente era quello il significato a cui l’autore puntava?
Come sono arrivato nel qui ed ora. Anni prima avevo arginato il desiderio di porre fine alla mia esistenza; eppure, mi trovo in procinto di farlo.
Avevo già affrontato quel percorso e ne ero uscito incolume. Certo, in passato era stato un pensiero fuggevole, non era mai stato così tanto concreto.
Dieci anni prima ci avevo pensato, lo ammetto, e soppesato persino le modalità con cui avrei potuto uccidermi. Ora il fine può essere facilmente raggiunto con lo strumento che stringo in mano.
Un mezzo rapido, un punto senza ritorno.
La mia mente cerca di individuare il punto di partenza: ripercorro rapidamente le caselle del gioco a ritroso, la partenza doveva pur essere da qualche parte no?
Forse è collocata troppo a ritroso. In ogni caso i ricordi appaiono troppo nebulosi ed è impossibile afferrarne i contorni sfuggevoli per poterli osservare.
Soprattutto gli ultimi tre anni sono ripieni di nulla.
Irritazione, nervoso e rabbia cieca. L’unica cosa certa sono gli stati d’animo che avevano assorbito il mio pensiero trascinando verso il basso l’asticella del mio umore, fino al sopraggiungere della depressione profonda e fagocitante.
Un pozzo nero di oscurità capace di inghiottire e dal quale è impossibile risalire. Stupendo…
Mi guardo attorno, mi specchio in occhi vitrei di spettatori inermi, un riflesso del vuoto di cui mi ero circondato. Wow
Quando ero ragazzo amavo un versetto della Bibbia, riproposto nel film “Il destino di un cavaliere”: “Sei stato pesato. Sei stato misurato. E quant’è vero Dio, sei stato trovato mancante”.
Assenza. Mi ero battuto per conquistare il vuoto ed ero diventato vacante io stesso, come le persone di cui mi ero circondato.
Avevo cercato di soddisfare questo nuovo credo, la cui unica divinità è l’esteriorità. Ne ero diventato schiavo. La legge dell’attrazione aveva agito e mi ero circondato di superficialità.
Proprio io che avevo da sempre osannato la profondità sentimentale e culturale. La supremazia di cuore e cervello.
Esattamente in quest’ordine: l’amore ha da sempre avuto per me supremazia sul pensiero razionale. Ma mai e poi mai avrei posto maggior attenzione a qualcosa di materiale, come la bellezza secondo gli standard della società.
Piuttosto ero legato al fascino di quanto mi aveva circondato. Il perfetto equilibrio, l’armonia di un oggetto, della natura, delle persone, di un paesaggio.
“Perché mi sono svegliato ora?” mi domando.
Era forse stato quanto avevo dentro a cozzare con quanto mi ero costretto ad accettare con rassegnazione? Era stata l’insensibilità nella quale ero immerso? Il mio essere emotivo era davvero così tanto forte da aver fatto quanto necessario per entrare in conflitto con quanto ero diventato grazie a sostanze chimiche?
Stavo compiendo un gesto. Non era ricerca di attenzioni, no. Volevo solo far uscire dal cervello pensieri e psicosi. Mi sentivo sbagliato. Volevo evitare di far male alle persone.
Ponevo fine alla mia esistenza per non recare disturbo verso il prossimo. Non mi era mai importato che la cosa non sarebbe mai stata reciproca. Difficilmente chi abbiamo di fronte ama la delicatezza.
All’esteriorità, infatti, spesso si aggiunge la venerazione di un altro dio: l’egoismo. Si deve stare attenti perché a convenienza viene pitturato con i colori meno riprovevoli dell’amor proprio.
Andiamo oltre. Non riempiamo di significato ciò che non ne ha. C’è altro su cui discorrere.
Ho avuto il coraggio di arrivare fino a questo punto e poi ho desistito da vigliacco o forse è proprio l’essermi fermato ad essere una dichiarazione d’amore per la vita?
È inutile chiederselo ora, ormai sono sveglio.
Mi ritrovavo lucido, ma era una piccola finestra.
Non sapevo ancora che avrei dovuto combattere una battaglia su due fronti, verso il futuro per affrontare l’avvenire e verso il passato alla ricerca dell’origine del tutto.
Certo, sempre se avessi perseverato nella scelta appena compiuta, quella di vivere.