(IM)PERFEZIONE E LA SUA IPOCRISIA

(IM)PERFEZIONE E LA SUA IPOCRISIA

Autore: Antony Russo

ATTO TRE

Consigli.

«Non pensarci» l’ennesimo suggerimento superfluo mi scivola addosso. È una delle mille banalità propinatami.

Alla fine, mi vogliono bene, no? Perché dovrei prendermela? Ci provano a tirarmi su.

Non hanno passato quanto sto vivendo ogni singolo secondo.

Certo, lo banalizzano. Dicono di aver passato di peggio oppure mi offrono storie ancor più tragiche della mia.

C’è chi sta peggio: questa è la morale.

Ognuno è portatore del proprio dolore, nessuno ha più gravità di un altro. A quanto pare nessuno mi aveva mai ascoltato quando lo dicevo.

In passato mi avrebbe innervosito l’ennesimo consiglio pescato dal cilindro delle banalità. Ora no.

Non mi sono costruito una corazza.

Sono ricoperto di ovatta.  Anzi, è come se tra la mia anima e l’involucro che la ricopre ci fosse uno strato d’aria.

Percepisco, ma non sento.

Ora medito sul significato di quella frase sussurratami qualche settimana prima.

Ora non più.

Anche se sono passati pochi istanti dall’instaurarsi del primo pensiero, ora rifletto su altro.

Il mio conto corrente decimato. Mi sono circondato di professionisti: ho speso una fortuna alla ricerca di risposte. 

Tento di interpretare i comportamenti altrui.

Il mio unico cruccio. La mia ossessione.

Loro continuano a fare altro.

Analizzano me, il mio comportamento.

Non voglio capire me stesso: so chi sono.

È altro quel che mi tiene sveglio ad occhi sbarrati, fino a che non cado stremato nell’ennesimo incubo.

Una via buia e quel dannato palo arancione con il cartello sul quale ci sarà sicuramente scritto “Fermata Bus”.

Non sono mai riuscito a leggerlo, ma ne ho visti così tanti nella mia vita. Non posso sbagliarmi.

Non ho tempo di perdermi nei dettagli di quanto mi circonda.

La mia mente è ostaggio dell’angosciante sensazione che pare divorare ogni mio respiro. Cresce ad ogni tentativo frustrato di ragionare con persone ormai lontane.

Persone poco compassionevoli, incapaci di ogni forma di pensiero. Si negano per vigliaccheria mascherata da indignazione.

Poi subentra quella sensazione di vuoto al centro del petto. L’angoscia ha finito per divorare tutto. Sento le vertigini, ma a mancare non è il terreno sotto i piedi.

Precipito nel nulla dentro di me.

E se avessero ragione quegli “strizzacervelli”? E se il problema fosse il mio?

La mia mente non dorme. Non ho stanchezza addosso.

Dovrei essere stremato, ma non riesco a fermarmi.

Non posso smettere di pensare, cercare, riflettere.

Cammino. Anche dentro la stessa stanza.

La percorro avanti e indietro.

Le cuffie sono perennemente attive e bombardano la mia mente di parole che penetrano direttamente nell’inconscio, senza distrarmi dal filo dei miei incubi.

Per distrarmi dall’ennesimo consiglio però ora sono ottime.

Ripercorro una strofa di “Amici per Errore” che continuo ad ascoltare nella versione italiana e portoghese.

La voce di Tiziano Ferro che intona la sua poesia sull’amore, dipinta con pochi tratti.

Bastano per far mancare il fiato, lasciando sgocciolare il mio cuore sanguinante e ferito.

In nessun modo vorrei averti vicino

In nessun modo viverti lontano

E scomporre la parola amore

In due consonanti e tre vocali ci perdiamo

Già le sei, il sole del mattino

Gela ogni ombra per quello che è

Tutti i frammenti di luna spezzati

Sui quali Dio scrisse di me e di te

Amici altrove, amici per errore

Allontanarti per urlare per sempre

In testa il tuo nome

È un altro viaggio, mettila così

Stringimi forte che non voglio perderti

E quel rumore di fondo non smette mai

I lampi di felicità, l’eco della nostalgia

Amici altrove, amici per errore

Sbagliare strada poi trovare in tutti i posti

Il tuo odore

È un altro viaggio, mettila così

Stringimi forte che non voglio perderti

«Ci sei?» vengo richiamato alla realtà dal propinatore di banalità, il quale ha uno sguardo preoccupato.

Mi sono assentato.

Sono scomparso per l’ennesima volta.

Ora lo vedo.

Ora non più.

Mi sono riperso a fissare il vuoto.