(IM)PERFEZIONE E LA SUA IPOCRISIA

(IM)PERFEZIONE E LA SUA IPOCRISIA

Autore: Antony Russo

ATTO DUE

I ricordi.

Nemici da sempre, velenosi, ma silenti, ora irrompono con irruenza. Non hanno rispetto.

Sono assordanti.

Non sono una presenza costante e non giungono regolarmente.

Quando mi concentro a pensare vedo soltanto nebbia. Sembra aspettino famelici l’esatto istante in cui abbasso la guardia.

Nessuno di essi è ancorato a emozioni positive: rabbia e senso di colpa si alternano.

No, c’è dell’altro a volte, forse ancora peggiore.

Il rimpianto.

Quell’intrico di dubbi atroci che spesso mi hanno assillato e ora sembra abbiano un unico scopo: distruggermi.

«Se avessi fatto “così” o risposto “cosà” come sarebbe andata?»

Forse sono io stesso a provocare quelle visioni. Sono alla ricerca della ragione di quanto successo.

Il mio inconscio è semplicemente crudele o forse sta cercando di pormi di fronte delle risposte?

Qualora sia quest’ultima l’ipotesi corretta, non riesco a interpretare il messaggio sotteso.

 Immagini e conversazioni giungono e scorrono davanti ai miei occhi spalancati nel nulla.

Durano un battito di ciglia.

Pe me.

Lo sguardo preoccupato di chi mi circonda mi dice altro.

Ovunque io mi trovi mi trasformo in un vegetale.

Sono persone che mi amano a quanto pare, dato che nonostante tutto hanno deciso di rimanere.

Una in particolare, nonostante le sofferenze patite e quelle che si sarebbe apprestata a vivere.

Inizialmente non era stata in grado di percepirne la gravità, ora il mio sguardo perso nel vuoto per giornate intere ha dissipato qualunque dubbio possa avere sul mio stato di salute mentale.

Vorrei evitarlo, ma non posso farne a meno.

Cerco di sottrarle ad altre sofferenze, ne ha già passate tante a causa mia, ma sono debole.

Lei rimane: non sapeva e ora sa. Meglio di chi sapeva e finge di ignorare.

Riesco a riscuotermi solo in rari casi.

Il suono dei singhiozzi.

La percezione della mia pelle bagnata dalle sue lacrime quando mi stringe nella speranza io possa ridestarmi.

Il bisogno di ignorare me stesso e aiutare gli altri nelle loro sofferenze mi regalano piccoli momenti di spossata lucidità.

No, forse è meglio, mi consente di aprire delle finestre su quanto effettivamente mi circonda.

 La nebbia che avvolge le mie memorie ora ricopre anche il mondo reale.

Mi è difficile distinguere concretezza e finzione.

Non ha importanza. Presto la mia mente riaprirà le porte dei ricordi facendomi piombare nuovamente nel mio doloroso e febbricitante delirio.

Chi doveva starmi vicino nonostante tutto.

Chi mi sta vicino nonostante tutto.

Chi ha deciso di ritornarmi vicino nonostante tutto.

Percepisco chiunque e nessuno.

Ho perso me stesso.

Non so chi sono.

Vengo accusato di essere il lupo cattivo della fiaba.

Mi domando se sia io davvero il proprietario di quelle etichette fameliche che mi vengono affibbiate, da lingue biforcute.

Sono io? Credo di essere buono e non lo sono? Una persona cattiva dubiterebbe mai così di se stessa?

Non hanno importanza quanti mi dicano che sono fandonie, sebbene alcune di esse mi conoscono da svariato tempo.

Hanno più importanza le svalutazioni negative.

Le sento crescermi nel petto. Le percepisco come falsità, ma attecchiscono più a fondo.

Le radici giungono dentro di me verso qualcosa che percepisco come antico, anche se inizio solo ora ad averne coscienza.

Qualcosa di sconosciuto che pulsa, regalandomi sensazioni talmente tanto dolorose da trasformarsi in sofferenza fisica.

Mi ero già sentito così?

Non ricordo. Forse sì.

Mai così forte.

Da quando non vivevo così intensamente le emozioni?

Da troppo.

Vorrei spegnerle nuovamente ma non ci riesco più.

Non so come abbia fatto.

L’unica cosa certa è che mi percepisco solo.