(IM)PERFEZIONE E LA SUA IPOCRISIA

(IM)PERFEZIONE E LA SUA IPOCRISIA

Autore: Antony Russo

ATTO MENO UNO

Rosso, nero, grigio.

A ritroso, mi ritrovo immerso nella totale nebbia. Assume colori differenti, in base all’emozione che rimbomba dentro di me, senza alcun controllo, ma qualunque sia la tonalità, il risultato non cambia: ogni cosa appare lattiginosa, lontana, inafferrabile.

Sono una marionetta in balia di tutto ciò che non è me.  

Mi sono ritrovato in una situazione soffocante, dalla quale non riesco ad uscire. Mi ci sono fatto trascinare, ma da cosa?

Da altri, quello era certo, ma perché avevo permesso di ficcarmici in quella dannata trappola?

Quella sensazione di impotenza era divenuta sempre più opprimente, finendo per intensificarsi fino al punto da divenire la compagna di gioco preferita delle mie psicosi.

Mi muovevo per far felice gli altri, per evitare di far soffrire chi avevo di fronte, chiunque esso fosse. Non vi era alcuna possibilità di rivolgere a me stesso quei pensieri.

Fallimento, inadeguatezza, senso di colpa, furia cieca.

Ormai rimbalzo come una pallina impazzita tra questi stati d’animo, in cui la felicità o, persino, la semplice serenità paiono essere una stupida utopia.

Non riesco ad afferrare compiutamente quanto mi stia accadendo attorno, solo quel dannato dialogo interno è reale.

Ho solo la sensazione che tutti all’esterno giudichino.

Sono vuoto.

Mi hanno svuotato.

Mi sono fatto svuotare.

Mi sono svuotato.

Riguardo le foto scattate poco tempo addietro. Non riesco a piacermi, mi vedo nuovamente grasso.

Com’era possibile, con tutto quello che stavo facendo. I sacrifici fisici ed economici non erano valsi a nulla?

Eppure, un anno prima ci ero riuscito.

La forma fisica era il cavallo vincente su cui avevo puntato ultimamente per aggrapparmi ad una misera parvenza di vittoria su qualcosa che era sempre stato per me un incubo.

Dopo anni ero riuscito ad ottenere il risultato che avevo sognato, lo vedevo in quelle foto.

C’ero riuscito dannazione ed ora ero un fallimento.

Cosa pretendevo, era il mio destino, no?

Me lo stanno facendo intendere anche le persone che mi circondano, no?

Porto solo dolore a tutto.

Agli altri.

A me.

Era inutile che cercassi di entrare delicatamente, ero pur sempre grezzo: un elefante in una cristalliera.

Pensieri incessanti e perenni solcano vanno e vengono.

Ritornano e spariscono, per poi rifare la loro comparsa.

Sembra una macabra danza, accompagnata dal sottofondo delle voci indignate dalle persone che sostengono di amarmi.

Eppure, paiono non voler sentire il mio sussurro disperato mentre li prego di non creare tensione, di lasciarmi pensare e riflettere.

“Datemi un attimo di quiete” mi sembra di continuare a ripetere. Eppure, eccolo qui: il nuovo litigio.

Qualunque sia il motivo.  

Sembrano banali, ma ogni volta accade il finimondo.

Sono loro a creare il problema, per poi lamentarsene? Mi sembra di sì.

Non ne sono certo.

Non riesco ad afferrarlo.

Spesso si tratta di meri dettagli. Piccoli frammenti che distruggono quel poco di coscienza che ancora ho, una briciola per volta.