(IM)PERFEZIONE E LA SUA IPOCRISIA

(IM)PERFEZIONE E LA SUA IPOCRISIA

Autore: Antony Russo

IL VERO ATTO ZERO: L’INIZIO

Le mani fremono mentre impugno il volante. 

Non ha a che fare con il mio ormai conclamato tremore, il mio vecchio amico d’infanzia. 

È la semplice consapevolezza. 

Il quadro è completo. 

Ora abbraccio tutta la verità. 

Ripercorrere pezzo per pezzo il mio passato, mi ha aiutato a scoprire l’origine di tutto. 

Dipendenze e delusioni incluse. 

Tutto stava lì, maledizione!!! 

Accelero più del dovuto, ma la testa mi gira vorticosamente. Devo arrivare a casa dei miei genitori il più presto possibile, non so se la mia testa reggerà. Non voglio rischiare di avere un malore e dover alla vita che ho deciso di amare e accogliere a braccia aperte. 

Proprio ora. 

Ma c’è dell’altro. 

Sono su di giri e c’è qualcosa che mi sta spingendo a dirigermi verso la destinazione con un entusiasmo inaspettato.

Non capisco la motivazione, ma non voglio darci peso. Non mi interessa. La vivo, la domo, la cavalco. 

Ora posso farlo, ora posso giocare. Ormai conosco le regole del gioco, no?

Finalmente parcheggio la macchina sotto l’abitazione dove ormai da quasi un anno mi sono trasferito, tornando alle origini di tutto.

Forse il destino mi ci ha portato per l’ennesima volta.

Era il punto dove tutto era iniziato, no? 

Salgo le scale velocemente, nonostante il cuore stia pulsando talmente forte dentro alla mia cassa toracica da farmi male. 

Cerco le chiavi di casa e a fatica le giro nella toppa. 

Avanzo lentamente. 

Ho paura.

Giungo a fatica davanti alla porta del soggiorno. Quello che mi ospita ora e che l’ha fatto durante la mia infanzia. 

Ora lo vedo.

Ora mi vedo.  

Il me bambino, chiuso in quella stanza. Il mio rifugio dalle svalutazioni genitoriali, il luogo ove nelle mie fantasie diventavo qualcuno. 

Quello in cui non mi sentivo solo ed in cui giocavo ad essere parte di qualcosa. 

Non famoso, non un eroe: sognavo un mondo in cui qualcuno ricordasse il mio nome e sapesse della mia esistenza. 

Era lì seduto. 

Aspettava da una vita. 

Lo avevo dimenticato ed avevo sperato che altri per me avessero avuto il coraggio a me mancante. Le palle di farsi carico di quel compito dannato: consolarlo, prenderlo per mano, accompagnarlo fuori da lì nel mondo. 

Nessuno lo aveva fatto. 

Chi si era offerta di farlo, si era rivelata peggiore di chi aveva ignorato il problema o non era riuscito a scorgerlo. 

Gli aveva fatto ancora più male.

Nessuno era in grado di farlo. 

Era un compito spettante a me. 

Ora mi sono accovacciato di fronte a lui. 

Anzi, a me. Ora posso riconoscermi in lui. 

«Scusa se ti ho lasciato così» gli dico. «Vieni con me.  Siamo entrambi pronti per andare verso il mondo. È il momento di tornare ad essere la stessa persona.

Non preoccuparti se dovessi avere la tentazione di tornare qui, non te lo permetterò e se non dovessi riuscirci, sarò io a venire.

Non sei più solo. 

Ci sono io con te. 

Ci siamo noi con noi. 

Ora possiamo iniziare a vivere.»