IL TEMPO E IL SILENZIO CURANO TUTTO: PAROLA DI DUMAS

IL TEMPO E IL SILENZIO CURANO TUTTO: PAROLA DI DUMAS

Autore: Stefano Luigi Cantoni

“A tutti i mali ci sono due rimedi: il tempo e il silenzio.”

Questa frase di Alexandre Dumas, tratta dal suo fortunato romanzo Il conte di Montecristo (1844), riflette una dolorosa e oltremodo necessaria riflessione su uno dei temi più delicati che possa tangere l’animo umano, al di là delle epoche: il dolore.

Che esso derivi da una perdita, da una disillusione o da una feroce e imprevedibile catastrofe non preventivata, lascia un segno indelebile in ognuno di noi. La linea del male crea ferite che troppo spesso ci si illude di sanare e in fretta e furia, pronti a ripartire: nulla di più errato.

Lasciando da parte i fremiti vorticosi di un adolescenziale e ansiogena voglia di porre rimedio a tutto, negli ultimi tempi (sarà la barba che inizia a ingrigirsi?) ho apprezzato un valore che troppo a lungo mi era capitato di relegare a inutile consiglio: la calma.

La calma ha a che fare con il tempo e il silenzio, e qui ci si ricollega a ciò che Dumas ci suggerisce come sua personalissima cura a tutto. Visione perlopiù ottocentesca in partenza, e poco a poco sposabile e apprezzabile anche da diverse filosofie (dalle orientali alle più disparate.)

Il tempo ci riconsegna il qui e l’ora, il respiro del momento, la vibrazione del presente; il silenzio, dal canto suo, cela pieghe inaspettate, carezze di mamma al proprio infante disilluso, pacche sulla spalla del più premuroso dei padri.

Ho imparato ad apprezzare la mancanza, negli ultimi tempi: non di affetti, non di stimoli e nemmeno di luce. Basta eccessi, rumore e saturazione: ad essi ho provato a prediligere la sobrietà, il silenzio e il vuoto (una meraviglia, alle volte).

La contrapposizione tra ciò che offusca e ciò che attira è sempre attuale, ma crea un confine labile tra la volontà e la dipendenza, tra la necessità e il vizio: cosa ci serve davvero per guarire da un dolore?

Il tempo, in primis, per elaborare la delusione (shock, lutto, trauma, come volete voi…): nulla come la calma, la consapevolezza e la cosciente accettazione che siamo arrivati secondo su qualcosa (su tutto, in realtà…) può rendere meno indigesto il verdetto che le primavere ci presentano.

E poi, udite udite (ironia della sorte) il silenzio: verba volant, dicevano quei “beceri e guerriglieri” dei Romani. Ma oltre a essere vane, o gravi, o fuori luogo, le parole sono anche spesso vuote.

Il dolore fa parlare a vanvera, spesso e volentieri: le parole seguono tale inclinazione tutta umana e mortale, fatta di sfogo e mal accettazione di un destino (fatum, Dio, chiamatelo come volete…) avverso, malevolo e crudele.

E giù a parlare, imprecare, insultare gli altri, perché alla fine la colpa non è nostra, no signore, è di quello che ci ha fregato con le sue parole, con la sua parlantina, con i suoi inganni e persino con le sue malizie e maldicenze.

Chiudo un secondo gli occhi, cercando di reprimere la rabbia scaturita dall’ennesima umiliazione: io ero meglio di quello stupido che hanno promosso al posto mio. Ma questa volta, come per magia, il tempo pare fermarsi, la parola annullarsi, la mente ripulirsi: in fondo, forse, il buon Dumas un briciolo di ragione l’aveva anche lui (lo penso, ma in silenzio, si sa mai…).