Autore: Gianluigi Chiaserotti
Con il 18 giugno 1815, sul campo di battaglia di Waterloo, la grande ed indimenticata avventura napoleonica trovava la sua conclusione.
L’imperatore dei francesi era battuto ed esiliato nell’isola di Sant’Elena, dove, il 5 maggio 1821 morì. Al riguardo, ricordiamo tutti l’ode di Alessandro Manzoni (1785-1873) “il cinque maggio”.
Ma non fu soltanto una semplice disfatta di un uomo che vedeva crollare le sue sconfinate ambizioni di dominio: con lui, era la rivoluzione che veniva vinta ed abbattuta. Il vecchio mondo prendeva la sua rivincita. I sovrani d’Europa, radunati a Vienna in congresso, si proposero di restaurare l’antico edificio, che la Rivoluzione e Napoleone avevano sconvolto. “Restaurazione”, appunto, è il nome che danno alla loro opera: restaurazione del vecchio ordine politico e sociale che aveva preceduto la rivoluzione.
Restaurazione anche in Italia. Gli antichi stati vengono richiamati in vita; gli antichi sovrani risalgono sui loro troni. Ritorna, come prima, l’Austria. Più forte di prima: ai suoi antichi dominii della Lombardia ha aggiunto una nuova conquista, Venezia. La vecchia, gloriosa repubblica di San Marco era stata travolta dagli sconvolgimenti del periodo rivoluzionario, diventando preda dei vincitori.
Così l’Italia Settentrionale, dal Ticino all’Adriatico, diviene una provincia austriaca: Vienna tiene nelle sue mani le chiavi della Penisola.
Ma la “Restaurazione” è anche l’inizio di una nuova stagione per la nostra Penisola, che, culminerà nell’Unità d’Italia.
Agli ideali illuministici, razionali, che portarono alla Rivoluzione Francese, si comincia a contrapporre quel nuovo movimento culturale che è il Romanticismo.
Infatti, in Italia, Romanticismo e Risorgimento sono un binomio inscindibile.
Nei primi scrittori romantici come Alessandro Manzoni e Giovanni Berchet (1783-1851), la questione dell’indipendenza dell’Italia e la lotta per realizzarla furono insieme una questione politica, morale e letteraria.
Ma nel Romanticismo Italiano, alla letteratura patriottica si affianca anche il tema dominante dell’amore.
Dobbiamo infatti ricordarci che la nostra Nazione era divisa in tanti piccoli stati ed oppressa dalle dominazioni di potenze straniere.
L’eroismo, la libertà, ma soprattutto l’orgoglio di poter far parte di una Nazione prestigiosa storicamente, culla della civiltà romana, sono temi fondamentali, riassumibili tutti nel concetto di “ patria”.
La patria che si tende a venerare fino all’estremo sacrificio della vita, come recita il nostro inno nazionale, composto proprio nel periodo risorgimentale e romantico da Goffredo Mameli (1827-1849): «Stringiamoci a coorte siam pronti alla morte».
Alla letteratura si chiede quindi di assumere una funzione civile, con la celebrazione di valori comuni, ma anche l’impegno e l’urgenza di un riscatto, che porterà all’Unità d’Italia ed alla sua indipendenza.
Esempi di codesta letteratura partono sicuramente dal “Misogallo” di Vittorio Alfieri (1749-1803), ma anche da Alessandro Manzoni nella sua ode “Marzo 1821”. Ode dedicata a Teodoro Körner (1791-1813), poeta e soldato della indipendenza germanica (nome caro a tutti i popoli che combatterono per difendere o per conquistare una patria), e, circa sei secoli dopo Dante, Manzoni auspicava «Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor», un’Italia unita politicamente, con un solo esercito, una sola lingua nazionale, una stessa religione, una sola memoria storica, una stessa origine e identici sentimenti.
Ma il Romanticismo era anche un guardare al passato?
Certamente, ed in particolare a Roma: «l’elmo di Scipio» intende il glorioso passato romano, la prima unificazione della nostra Penisola.
Si guarda però anche al Medioevo, periodo di smanie, oserei dire, libertarie, di furori, di lotte (e non dimentichiamo l’interesse del Romanticismo verso questo periodo storico).
Ma in tutto ciò si guarda anche al futuro perché oggetto di canto, di azione, di immaginazione, e non solo realtà storica, ma anche ciò che potrà certamente essere.
Ed è propriamente da qui che vediamo quanto la letteratura patriottica sia pervasa di senso profetico, di un sogno glorioso e di vittoria da realizzarsi (come sarà) ad ogni costo.
Stilisticamente la poesia patriottica contiene esortazioni, con esclamazioni ed interrogative, sempre in bilico tra una lingua di matrice popolare ed una colta che riprende le tradizioni classicistiche.
Ma fra tutti gli avversari della Restaurazione, gli ex-ufficiali napoleonici, formati alla scuola ardimentosa dell’esercito imperiale ed impazienti dell’inerzia cui son ridotti, costituiranno, non di rado l’elemento più combattivo e pronto a passare all’azione rivoluzionaria contro i governi restaurati. Ed accanto a loro un grosso contingente di oppositori è dato dalla borghesia dei commerci e delle industrie, danneggiata nei propri interessi ed esasperata dal risorto predominio dell’aristocrazia, oppure da nobili di idee progressiste, ma soprattutto dagli intellettuali, influenzati, come si diceva poc’anzi, dall’ormai irresistibile diffusione del Romanticismo dalla Germania verso il resto dell’Europa.
Da principio puo’ apparire che il Romanticismo, predicando il ritorno alla tradizione od esaltando il sentimento, in netta antitesi al razionalismo illuministico, sia alleato della Restaurazione. Ma si vede che la rievocazione della storia, l’esaltazione delle tradizioni nazionali, il richiamo alla coscienza popolare rappresentano l’alimento del patriottismo. Fare appello, come i romantici, al sentimento individuale, alla libera espressione del cuore e della fantasia, in antitesi alle regole del classicismo, significa alimentare la battaglia per la libertà contro lo spirito autoritario della Restaurazione.
Romantico diviene sinonimo ovunque di liberale e patriota.
In ogni paese, le università con i loro studenti e docenti costituiscono altrettanti focolai di agitazione liberale e di cospirazioni. Il poeta, il dotto, il musicista [Vincenzo Bellini (1801-1835), Giuseppe Verdi (1813-1901)] si sentono investiti di una specie di missione morale e, come tali, non ascoltati dai loro contemporanei.
Come l’idea liberale e l’idea nazionale, ai primi del secolo XIX, coincidono al punto da rendere sinonimi i termini “liberale” e “patriota”, così le vittorie e le sconfitte dell’idea liberale o del principio di nazionalità, in un qualsivoglia paese europeo, vengono sentite, dai liberali e dai patrioti di ogni altro paese, come vittorie o sconfitte di una causa comune.
La lotta contro l’assolutismo in nome del liberalismo costituzionale si identifica, nella coscienza generale, con la lotta per l’unità e l’indipendenza dei vari popoli smembrati e/o asserviti dalle idee guida del Congresso di Vienna.