Autore: Gianluigi Chiaserotti
Nel corso del mio ultimo soggiorno milanese, sono riuscito a ritagliarmi qualche minuto per recarmi alla Galleria di Arte Moderna di via Palestro.
La visita ne è più che valsa la pena.
Infatti ho visto nella sua completa originalità il quadro denominato “Il Quarto Stato”, vero ed autentico capolavoro di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907), e ciò dopo averlo ammirato per anni su svariati libri (anche scolastici ed universitari).
È un’opera del tutto emblematica della nostra visuale artistica, che ritengo moderna, pur se iniziata centoventicinque anni fa, e precisamente tra il 1898 ed il 1901: anni caratterizzati da scioperi, proteste e rivendicazioni della classe operaia, di cui la pittura si fa portavoce [Basti ricordare al riguardo che il giorno 8 maggio 1898, in occasione di forti tumulti dei moti di Milano, causati dall’aumento del costo del grano (automaticamente quindi del pane) deciso dal Regno d’Italia, il governo guidato da Antonio di Rudinì proclamò lo stato d’assedio e il generale Fiorenzo Bava Beccaris, in qualità di regio commissario straordinario, fu incaricato del ristabilimento dell’ordine e la repressione fu estremamente violenta e sanguinosa].
Giuseppe Pellizza da Volpedo impiegò quasi dieci anni per realizzare codesto capolavoro in quanto vi fu un periodo di studio.
Vi furono infatti tre versioni precedenti: “Ambasciatori della fame” (1892), “Fiumana” (1895) ed “Il cammino dei lavoratori” (1899), quasi definitivo, che il pittore, ispirato dagli scritti di Jean Jaurès sulla Rivoluzione Francese intitolerà appunto “Il Quarto Stato” (e preludio appunto della Rivoluzione era stata la convocazione degli Stati Generali).
La scena, di una modernità unica, fu ambientata in una piazza del paese natale del pittore (Volpedo in provincia di Alessandria) e rappresenta la protesta di un gruppo di lavoratori, la cui marcia ideale verso un futuro luminoso e migliore rivendica la forza coesiva e la dignità del lavoro (chi lavora non fa male ad alcuno) da cui deve partire il riscatto degli umili e quindi del popolo.
Il quadro è tutto qui.
Nella sua storia, varie sono le collocazioni.
Il quadro passò dalla sala da ballo del Castello Sforzesco all’attuale collocazione, poi dopo, la Seconda Guerra Mondiale, a Palazzo Marino, come simbolo della democrazia e della riappropriazione dei diritti.
Riscoperto come vero ed autentico capolavoro della pittura italiana, e ciò contestualmente agli studi sul Divisionismo, fu inviato a due esposizioni a Londra e Washington.
“Il Quarto Stato” fu poi esposto nel Museo del Novecento in piazza della Scala (2010), per tornare definitivamente (2022) ove lo ammiriamo attualmente.
Come ho detto più volte lo ritengo moderno, molto pop, un’icona della tradizione italiana del lavoro, che poi altro non è l’articolo 1 della nostra Costituzione.
È un quadro del XX secolo, attuale, profondo, che fa riflettere.
Non a caso nel 1979 il quadro fu scelto da Bernardo Bertolucci quale incipit del film “Novecento”.