Autore: Sabrina Fava
Negli ultimi vent’anni sta dilagando la definizione di “paradosso del progresso” (l’ho accennato anche qualche settimana fa nell’articolo dedicato al saggio di Mark Manson). Siamo in una realtà storica particolare, unica nel suo genere, e l’evoluzione non sembra conferire solo apporti positivi.
Dalla Rivoluzione industriale l’essere umano ha cominciato a vedere la vita con un paio di lenti un po’ meno spesse e la miopia è andata mano a mano affievolendosi.
Lo sviluppo della tecnologia e la ricerca in campo medico-scientifico hanno portato a un miglioramento della quotidianità, le aspettative di vita sono aumentate, il mondo del lavoro si è modificato (con alti e bassi discutibili), le famiglie si sono ristrette e in alcune realtà non si sta poi così male.
Nel caso in cui ve lo stiate chiedendo, la risposta è la seguente: «Certo, stiamo parlando dei Paesi sviluppati».
Il miglioramento ha portato a un aumento del benessere generale, tuttavia, c’è un prezzo da pagare ed è qui che ci raggiunge il protagonista di oggi: il paradosso del progresso.
Per farla breve, il benessere è inversamente proporzionale alla felicità. Che cosa significa? Significa che maggiore è il benessere all’interno di una società minore è la felicità dei singoli individui.
L’essere umano ha la memoria corta e tende a dimenticare le vicissitudini del passato, che non sempre è così lontano. La costante lotta alla sopravvivenza, la fame, le pandemie, sono solo “storia vecchia”.
Tuttavia, non è necessario parlare di problematiche in larga scala ma è sufficiente soffermarsi sul quotidiano. Ogni persona dà per scontato di avere il frigo pieno al mattino quando deve mangiare latte e cereali, dà per scontato di aprire gli occhi ogni giorno senza il timore di dover lottare per la propria incolumità, dà per scontato di essere ineluttabile, dà per scontato che se dovesse accadergli qualcosa di spiacevole a livello morale o fisico “c’è sempre una soluzione” perché da un certo punto di vista il mondo odierno è diventato un mondo più facile. Tranquilli, non sto impazzendo. Ora vi spiego meglio.
Tutte quelle spinte primordiali che sono state per migliaia di anni il primo pensiero di ogni uomo ora vengono date per scontate, perciò, non sono più fondamentali. L’essere umano ha rivisto le sue priorità e quelle odierne non hanno più come colonna portante la soppravvivenza ma l’appagamento del desiderio e del bisogno.
La presenza dei beni di prima necessità è data per certa, quindi, ci si focalizza su quelli secondari che a livello di importanza personale assumono un potere determinante per la felicità. Ciò nonostante, nella maggior parte dei casi, sono desideri materiali o con vita breve e il senso di soddisfazione del bisogno tende a dissolversi in fretta ed è per questo motivo per cui giunge l’infelicità.
Facciamo un esempio, in un periodo della propria vita in cui ci si sente giù di corda si decide di acquistare un’auto nuova, nel momento in cui ci si reca in concessionaria per l’acquisto dell’auto l’individuo sarà ricolmo di felicità. Tuttavia, dopo appena una settimana darà per scontato di vederla che l’attende in giardino per essere messa in moto e il livello di felicità si abbassa nuovamente.
Perciò per farla breve, questo è un articolo abbastanza polemico che invita il genere umano a rivedere le sue priorità.