IL FUTURO RUBATO

IL FUTURO RUBATO

Autore: Lorenzo Grazzi

Quando si arriva a fine anno ci si interroga sui risultati ottenuti, sugli obiettivi raggiunti e si fanno i buoni propositi sapendo, con assoluta onestà, che il novanta percento di loro finiranno in un dolce oblio (alcuni buoni propositi si ripresentano di anno in anno con una devozione che meriterebbe almeno un premio di partecipazione.

Qui inizia la tragedia. Si passa più tempo a guardare in faccia il passato confrontandosi con un tempo che non ha più potere evitando di imporsi sul futuro. Ma che ripercussioni ha tutto questo?

La fotografia dell’Italia che esce dal 2023 è quella di un Paese pronto per essere seppellito, o meglio, una nazione che sta celebrando le proprie esequie con una passività raggelante.

Mi riferisco alla povertà educativa, malattia sociale di cui l’Italia soffre da tempo e che pare aver posto la parola fine a qualunque futuro.

L’associazione Con i bambini ci informa che 1.400.000 milioni di minori, nel nostro Paese, vivono in stato di povertà assoluta e altri 2.200.000 in povertà relativa. La traduzione immediata è che ci sono 3.600.000 bambini che non hanno le risorse per frequentare assiduamente la scuola e che, sicuramente, non assisteranno mai a uno spettacolo al cinema, a una mostra, a un gita al museo. Le biblioteche non saranno frequentate da persone costrette a campare alla giornata. 

Quando si tratta di priorità, il cibo viene prima della cultura.

Esiste poi un esercito di Neet (Not Employment Education or Training), ossia quei giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono impiegati in processi formativi. Fantasmi della società che difficilmente saranno poi integrati in un sistema legale del lavoro e della ricerca e che rischiano di essere lasciati indietro e finire col diventare una nuova spesa sociale.

Secondo Save the Children si tratta del 23,1% dei giovani italiani, una percentuale apocalittica che supera del doppio quella di Paesi europei come Francia e Germania che non superano il 12%.

Il dato che spezza ogni possibilità di rivalsa italiana è che, rispetto ai primi anni 2000 nei quali la fascia di povertà culturale riguardava principalmente le persone più anziane, oggi il problema interessa i più giovani. 

La povertà educativa si abbraccia con quella economica, e sembra nettamente più forte nelle regioni del sud dove, nel corso degli anni, sono mancati gli investimenti in questo settore e la voglia di innalzare il livello culturale a partire dalla scuola.

Un ragazzo su sette abbandona gli studi prima di aver conseguito il diploma e cinque su sette, una volta diplomati, non hanno maturato le competenze necessarie e previste.

La scuola italiana sta sfornando (quando riesce a sfornare qualcosa), giovani che non hanno capacità autonome di lavoro o di studio e che spesso devono accontentarsi di lavori di manovalanza e non qualificati che aprono molto di frequente le porte per il lavoro nero.

Rimane quel ragazzo su sette che, con le competenze acquisite, sceglie spesso di spenderle all’estero perché qui non gli vengono riconosciute.

E il mondo del lavoro? È un sistema di sfruttamento che non riconosce i meriti per mancanza di capacità: chi prende decisioni riguardo la possibilità di carriera di un ragazzo spesso non è competente per farlo.

Tutto si riduce al “cercasi giovani con esperienza”, ossia personale capace (o come dicono oggi skillato) che sia disposto a farsi pagare come un tirocinante.

Ma tutto questo dove ci porta? Beh, aprite un giornale e lo scoprirete da soli. I giovani di oggi non hanno davanti alcun futuro, alcuna possibilità per cui valga la pena di cercare qualcosa di diverso. Andare a scuola non serve quindi perché andarci (non è nemmeno divertente!)?

La cronaca del 2023, che ha portato alla luce i fatti di stupri e violenze di gruppo da parte di minori, mette in risalto un problema culturale drammatico che rischia, in anni non troppo remoti, di diventare ingestibile e impossibile da risolvere perché non si rivolge più a una fascia d’età che il tempo metterà a tacere (e il covid ha dato una mano), ma a quelle generazioni che dovranno affrontare guerre per la sopravvivenza del pianeta e di loro stessi e mandare avanti, contemporaneamente, il sistema nazionale.

Tra 10 anni i giovani fuori dal sistema contributivo nazionale rischiano di essere il 40%. 

Un sistema che non educa è un sistema morto, lo sentiamo ripetere da decenni ma non abbiamo mai pensato che quel conto da pagare sarebbe poi arrivato a noi.