Autore: Stefano Luigi Cantoni
Oggigiorno si parla tanto (e giustamente) di accettazione, confronto e inclusione come paroline magiche da applicare al nostro vivere quotidiano per rendere più civile e umana la convivenza con gli altri. (Magari fosse così!)
La formazione umanistica mi obbliga, interrogandomi sulla questione, a partire dal passato: solo leggendo le pagine che sono già state scritte possiamo acquisire gli strumenti necessari per comprendere il presente che viviamo (o tentare di farlo, quantomeno.)
Gli antichi Greci, tra i primissimi ad aver reso reale la democrazia grazie al coinvolgimento dei cittadini, oltre ad averci lasciato mirabili esempi di letteratura, poesia, teatro e arti che ancora oggi influenzano gusti e tendenze, hanno inventato anche una parola dalla quale mi piacerebbe partire in questa mia breve riflessione, ovvero il termine “barbaro.”
Per gli ellenici tutto ciò che non era greco, che risultava dunque “altro” dal loro mondo e dai loro ideali, veniva inteso come straniero, intruso ed estraneo (dal greco barbaros, appunto) e, come tale, diverso.
Una prima, netta solcatura tra culture e etnie che influenzerà parecchi successori dei Greci: il diverso divenne persona di cui dubitare, individuo da educare alla (presunta) civiltà dell’ospitante e, spesso, anima da purificare da colpe natìe o acquisite (leggasi persecuzioni cristiane e tribunali inquisitori, per dirne due.)
La paura del diverso pervase con tragica veemenza l’intero Occidente in una escalation senza precedenti: difficile definire l’apice di questo processo poiché, a ben vedere, stento a riconoscerne una fase calante.
Se dopo i processi alle streghe e i roghi medievali si è passati alla sottomissione dei popoli conquistati durante l’epoca del colonialismo, con la nascita dei grandi regimi totalitari il diverso è divenuto pretesto per affermare un’egemonia basata sulla violenta pretesa di un diritto inesistente: la superiorità della propria genìa (o razza, per dirla alla tedesca…)
Arrivando a oggi, ciò che mi preoccupa o, meglio, mi destabilizza è l’abitudine a vedere gli altri come diversi: il rischio è quello di “normalizzare” un fenomeno che nacque come straordinariamente unico e isolato, per poi divenire materia per un comune e triste pregiudizio.
Historia magistra vitae (la storia è maestra di vita): comprendere il diverso è il primo passo per sforzarsi di accoglierlo, e non basta certo una citazione di De Andrè o dichiararsi accoglienti per divenire paladini dell’inclusione. La svolta deve partire dal pensiero che, si sa, richiede tempo e fatica: uno sforzo che parecchi (ministri e uomini comuni) non pare abbiano l’umiltà di voler sostenere.