Autore: Stefano Luigi Cantoni
Nell’approcciarmi a queste righe ammetto di esser stato oltremodo attratto da una calamita irresistibile che porta il nome di Emil Cioran. Il grande pensatore, intellettuale e scrittore rumeno, nei suoi Quaderni (1957-1962), ci ha lasciato uno spunto di riflessione non da poco, celato (e custodito) in poche parole. “Appartengo a coloro che, fra il sistema e il caos, propenderanno sempre per il caos.”
Innanzitutto, risulta interessante capire cosa intendiamo (o crediamo di intendere) quando parliamo di caos. Oggi potremmo ridurlo a un’immagine vicina alla confusione, alla noncuranza, alla non-programmazione (in breve, al caso), ma parecchi secoli fa le cose non stavano proprio così, e (come vedremo) non lo erano nemmeno per Cioran.
Già nella Teogonia, Esiodo descrive il caos (kaos, per i greci) come il disordine primordiale antecedente alla stessa comparsa degli Dei: un nulla piatto, impercettibile e impalpabile (altro che confusione!) da cui presto si sarebbe formata la coscienza universale.
Pensiero peraltro sposato in parte anche da Platone che, nel caos, vede un ammasso di materia informe dalla quale il Demiurgo pesca per modellare a proprio piacimento le forme del mondo sensibile, dall’uomo agli animali passando per paesaggi e cieli stellati.
E che dire del caos che tanto pare contrastare con l’ideale di perfezione e proporzione caro all’età moderna (leggasi rinascimento e classicismo)? Qui lo scontro si fa arduo e delinea un’immagine quasi demoniaca del caos: esso appare in contrasto con le norme imposte dai modelli sociali, politici e religiosi che hanno fatto della contrapposizione tra dover essere e voler essere il fulcro di una battaglia eterna (e tuttora senza esito…).
Il sistema moderno, interpretabile anche come un modo di comportarsi secondo determinati usi e costumi vicini a un vivere civile, ha causato l’acuirsi di quel vuoto siderale (e atavico) di cui Cioran si è fatto sensibile rappresentante nel secolo appena trascorso.
Un senso profondo di inadeguatezza ha sempre pervaso lo scrittore rumeno, spingendolo persino a rinunciare al Premio Nobel per la letteratura nel 1981 (che andò a Elias Canetti). Una sorta di parabola al contrario, tracciata nel solco e nel segno discendente di un dolore tipico del nostro tempo: l’incomunicabilità tra uomo e mondo.
Cioran, in realtà, sceglierebbe sempre il caos per mettere ordine: è questa la provocazione che ci lascia la massima con cui abbiamo aperto questa nostra breve riflessione. Un paradosso che ci obbliga a riflettere anche su quanto, e in che maniera, siamo disposti a “sporcarci” del mondo che ci circonda, a confonderci con esso, a divenirne un necessario ingranaggio in grado di garantire la sopravvivenza nostra e della stessa specie umana.
Cerco dunque di far luce tra la nebbia confusa che, grazie a Cioran, inizia ad avvolgermi le sinapsi con voluttuosa sensualità. Prima che sia troppo tardi, consento a un barlume di lucidità di pungermi con un’ultima, necessaria domanda: è meglio un caos su misura per noi ma imprevedibile o un sistema rassicurante ma altrettanto illeggibile?