IL CALCIO CHE AVREI VOLUTO

IL CALCIO CHE AVREI VOLUTO

Autore: Davide Libralato

Il mio avvicinamento al calcio non è avvenuto in tenerissima età e si è concretizzato in maniera del tutto inusuale.  Ciononostante, questo non ha per nulla influito sul livello di passione o nel coinvolgimento maturato per una squadra esattamente come nessun’altra particolare peculiarità dovrebbe elevare il tifoso tipo al cospetto di un simpatizzante della Domenica (definizione oramai impropria dato lo spezzatino degli incontri infrasettimanalmente spalmati ).
Non l’ho mai praticato se non con gli amici al campetto dietro casa o all’oratorio del paese. In giovinezza, riversandomi quasi totalmente tra musica e parole potevo considerarmi tifosuccio (del Milan , nda ) e nulla più, avendo ereditato di generazione in generazione questa fede,  ma di mio nemmeno allora concepivo che uno sport seppur quello popolare per antonomasia (  qui in Italia ) potesse muovere così tante persone. Persone che poi avrebbero alimentato un business in certi frangenti anche “spietato”. Tutto d’un tratto, sempre per ” colpa ” delle amicizie cominciai a videogiocare con uno dei famosi titoli per console che ancora oggi spopola tra i giovani e non solo. Questo mi avvicinò in maniera maniacale a conoscere le compagini più e meno blasonate, attirando il mio interesse verso le formazioni, le tattiche, essenzialmente verso lo sport allo stato più puro. Da lì ho cominciato a seguire veramente i colori di cui ero simpatizzante fino a conoscerne discretamente la loro storia. E come della mia squadra del cuore, diventai abbastanza edotto di campionati europei, informandomi sul loro andamento e sui conseguenti avvicendamenti sportivi e societari. Già da allora era dinanzi agli occhi che qualcosa stava pian piano cambiando. Qualcosa che, nonostante tutto, non volevo decretare verosimile. Io, cresciuto negli anni in cui c’erano gli interpreti ” indiscutibili ” che hanno di fatto dato quel valore aggiunto alle loro squadre e viceversa. Dovevo solo rendermi conto che con Del Piero alla Juventus, Puyol al Barcellona, Totti alla Roma, Casillas al Real Madrid, Zanetti all’ Inter e Maldini al Milan ( solo per citare i più famosi e senza nauseare i lettori meno appassionati ) le bandiere sarebbero state destinate a scomparire. <br>Non volevo però crederci del tutto, pensando che i calciatori sono e saranno si dei professionisti del loro lavoro, ma in grado di affezionarsi e legarsi alla squadra che ha permesso l’esaltazione della loro passione. Voglio però permettetemi una precisazione: è si a tutti gli effetti un lavoro, però non è assolutamente paragonabile ai lavori più comuni.

” fai il lavoro che ami e non lavorerai un giorno della tua vita “ è una frase che qualcuno parecchio creditato scrisse.

Bene. Un bel giorno della mia carriera di appassionato seguitore di calcio il mio cuore si imbatté in una storia tra le più belle e drammatiche che potessi vivere. Un allora ragazzino dalle doti sovrannaturali divenne il portiere titolare del Milan. Al secolo Gianluigi Donnarumma. Mi ricordo che si affacciò alla titolarità grazie ad un visionario e sconsiderato (a detta dei detrattori) allenatore , il compianto Siniša Mihajlović. Il ragazzo rispose immediatamente presente, inanellando prestazioni che sicuramente non devo star qui a ricordarvi io, anche perché quello che voglio sottolineare adesso va oltre le prestazioni sportive. Dicevo che questo giovane professionista per meriti indiscutibili ha ben presto scalato l’élite del calcio che conta e anche per questo è stato riempito di fama, fiducia e lauta remunerazione, che non solo hanno assicurato la sua stabilità economica ma anche quella delle persone che gli stanno accanto. Perché dico questo? Perché in un bel momento questa favola si è colorata di un capitolo per me tra i più tristi della storia sportiva. Per farvela breve arriva l’offerta della ricca squadra di turno che mette sul piatto una cifra ancor più faraonica di quella che percepiva in quel momento. Ora io dico: un ragazzo di allora circa 22 anni, che già prendeva 6 milioni netti all’anno con una prospettiva al rialzo di circa 2 milioni, cosa non poteva fare con quel denaro che invece può fare con i circa 10 offerti dal nuovo lussu(ri)oso acquirente? E soprattutto, debuttando a 16 anni in uno degli stadi più famosi al mondo (si, ho detto 16 anni ) con quella maglia cucita addosso potenzialmente a vita e con nessuna paura di poter battere dei record che solo lui ha potuto invece (ab)battere… cosa lo ha spinto ad allontanarsi accettando l’offerta della nuova squadra? E non condivido per nulla chi mi viene a dire che anche io da operaio/ impiegato correrei da chi mi offre il doppio, semplicemente perché il doppio in un contesto normale ti cambia letteralmente la vita, a quei livelli milionari direi molto meno. Cari lettori, ritengo questa l’ennesima dimostrazione, per me forse la più forte come eclatanza (in negativo purtroppo) che in questo mondo, che comprende anche i lavori nati dalle passioni, tutto abbia un prezzo. Un prezzo che fa abbagliare i diretti interessati e avvelena tutto un sistema gestionale già malato condendolo di accordi e clausole. E per dirne un’altra del mio amato Milan, proprio nei giorni in cui sto scrivendo questo articolo si sono consumati altri due illustri addii.
Che alla fine così illustri lo sono stati probabilmente per me e per tutti coloro che  non avrebbero voluto perdere quel calcio che di fatto, non esiste più.