Autore: Heiko H. Caimi
C’era una volta, in un tranquillo villaggio ai piedi delle montagne, un uomo di nome Ernesto, noto a tutti per la sua eccentrica curiosità. Ernesto non era un uomo comune: collezionava ombrelli rotti, assaggiava vernici per il gusto di scoprire quale sapore avessero a seconda del colore e parlava fluentemente la lingua degli orologi a pendolo. Ma la sua ultima impresa superò ogni immaginazione.
Una sera, mentre si trovava nella taverna locale, udì una conversazione tra due contadini che discutevano animatamente sui misteri dell’universo. Uno di loro, in un impeto di poesia rurale, dichiarò: «Ci sono più misteri nel buco del culo di un mulo che nei cieli stellati!».
Quell’enunciato di profonda filosofia bastò ad accendere una scintilla nella mente di Ernesto. Deciso a svelare quel nuovo mistero, proclamò ad alta voce: «Domani scoprirò cosa si vede guardando dentro il buco del culo di un mulo!».
I presenti lo guardarono con una mescolanza di orrore e divertimento, ma nessuno osò provare a dissuaderlo: si sapeva che era… più cocciuto di un mulo!
L’indomani, armato di un paio di guanti di gomma lunghi fino al gomito, di un cappello da esploratore e di una torcia tascabile con le pile nuove, Ernesto si recò alla fattoria del signor Bianchi, noto allevatore di muli. Dopo una lunga e imbarazzante conversazione, riuscì a ottenere il permesso di condurre il suo esperimento su Carlotto, il mulo più anziano e paziente della fattoria. Era un po’ spelacchiato, ma era l’unico che l’allevatore fosse disposto a sacrificare a quell’esperimento bislacco.
Nel frattempo i contadini presenti nella caverna la sera prima si erano radunati per lo spettacolo, sedendo insieme al signor Bianchi per assistere allo spettacolo.
Carlotto, ignaro delle intenzioni di Ernesto, masticava tranquillamente il fieno, mezzo assopito nel calore del primo sole, quando Ernesto gli si avvicinò con cautela. «Ecco, Carlotto, bravo ragazzo, sta’ fermo…», mormorava Ernesto, tentando di tranquillizzare sia il mulo che se stesso.
Indossati i guanti, Ernesto accese la torcia e iniziò l’insolito esame. Si chinò con attenzione dietro Carlotto, cercando di mantenere il più possibile la dignità in quella situazione surreale. Con un respiro profondo, puntò la luce direttamente contro il buco del culo del mulo, che non ricordava potesse essere così grande, e iniziò a guardarvi dentro.
Carlotto, forse infastidito dalla situazione o semplicemente seguendo la propria natura, emise una tremenda scorreggiona direttamente sul viso di Ernesto. Il povero esploratore, colto alla sprovvista e con gli occhi che gli lacrimavano, si tirò indietro tossendo e scuotendo la testa, sbandando come colto da una vertigine, e in effetti per poco non svenne.
I contadini, che osservavano la scena a distanza di sicurezza, scoppiarono in una risata fragorosa.
«Ben fatto, Carlotto!» gridò uno di loro, applaudendo il mulo per la sua tempestiva risposta.
Ma Ernesto non si diede per vinto, e, nonostante l’incidente gassoso, si riavvicinò.
Proprio in quel momento, il vento decise di dare il suo contributo, facendo cadere il cappello da esploratore di Ernesto proprio sotto Carlotto. Spaventato dal movimento improvviso, il mulo scalciò energicamente, colpendo Ernesto con precisione e scaraventandolo in un mucchio di fieno.
I contadini, esilarati da quel che era accaduto, non riuscirono a trattenere grasse risate.
Confuso e dolorante, Ernesto si rialzò solerte, cercando di recuperare la propria compostezza. Vedendolo con i capelli arruffati e il volto coperto di paglia, ancora determinato a portare a termine la propria missione, gli astanti non poterono esimersi da un nuovo scoppio di risa.
Ernesto, con la sua indomabile determinazione, si avvicinò nuovamente, con maggiore cautela, e riaccese la torcia. Mentre si chinava per la seconda volta, Carlotto decise di aggiungere un’ulteriore sorpresa: con un sonoro sbruffo, a mo’ d’ippopotamo, il mulo evacuò direttamente sul muso del malcapitato esploratore, che prese in pieno i dardi grigiolini che per poco non lo fecero sdrucciolare a terra.
La scena era surreale: Ernesto, coperto prima di paglia e ora anche di escrementi di mulo, con la torcia ancora accesa nella mano tremante, restava immobile a fissare il lurido buco del culo del mulo, sull’orlo di una crisi di pianto.
I contadini, ormai piegati in due dalle risate, non riuscivano a credere ai loro occhi.
«Che hai visto, Ernesto?” chiese uno di loro, cercando invano di trattenere una risata di scherno.
Ernesto, con uno sguardo saggio e un sorriso ironico, mentre cercava di togliersi la merda dal viso con una mano, rispose: «Ho visto la verità della vita, amici miei!».
Increduli e divertiti, gli astanti rimasero interdetti. Il solito non desisté e gli chiese: «E quale sarebbe?».
«La verità della vita è che certe cose è meglio lasciarle al mistero» sentenziò Ernesto.
Da quel giorno Ernesto divenne una leggenda nel villaggio. La storia del suo tentativo di esplorare il buco del culo del mulo viene raccontata alle nuove generazioni e ai nuovi arrivati, sempre con grande ilarità ma anche con quella bell’aria astuta di chi ha capito della vita molto di più di chi lo sta ascoltando. E ogni volta che qualcuno si avventurava in una discussione sui misteri dell’universo, qualcuno ricordava le sagge parole di Ernesto: «A volte, i misteri più profondi sono quelli che è meglio non svelare». E su questa filosofia la comunità impronta da allora la sua esistenza.
A mio giudizio e un racconto esilarante, ma allo stesso da da pensare sulle esperienze che ogniuno di noi dovrebbe fare nel corso del suo cammino per apprezzare il fascino della vita che sta’ sempre intorno per farci dono della sua bellezza, non vista perché ci piace, ma vista con gli occhi della sorpresa che ci fa’ fantasticare.