Autore: Gianluigi Chiaserotti
È di questi giorni la scomparsa, all’età di novantasei anni, di Licia Rognini, vedova dell’anarchico Giuseppe Pinelli, il ferroviere che precipitò dalla finestra della Questura di Milano nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre 1969, ove era trattenuto, oltre le quarantotto ore di legge, per accertamenti a seguito dell’esplosione di una bomba presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana, il 12 dicembre dello stesso anno.
Delle cause di questa morte traumatica non si seppe mai nulla anche dopo ricostruzioni, processi ed interrogatori vari.
Fu anche accusato il commissario Calabresi, il quale, a sua volta, fu ucciso il 17 maggio 1972. Le comunicazioni delle autorità riguardo alla morte, ufficialmente attribuita ad un malore, destarono sospetto a causa di alcune circostanze legate ai momenti del tutto eccezionali vissuti nel capoluogo lombardo a seguito della detta strage.
Con lui venne indagato anche Pietro Valpreda, ed entrambi saranno in seguito dichiarati innocenti (Pinelli solo dopo la morte). I fatti strani legati alla morte di Pinelli indussero molti a parlare, sempre più apertamente, di omicidio: Pinelli sarebbe stato gettato dalla finestra.
Nessuno ha mai creduto all’istinto suicida del Pinelli, tra l’altro partigiano ed animatore del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa.
Questa è brevemente la storia, ma qui voglio porre in risalto l’influenza culturale e pop del caso in esame.
La figura di Pinelli è stata presa, in ambienti anarchici, a simbolo dell’opposizione del potere costituito in genere, ed in particolare al potere poliziesco.
Innanzitutto nel cinema: furono raccolti svariati materiali per dar luogo ad un lungometraggio curato da Elio Petri e Nelo Risi.
Quindi la figura di Pinelli appare anche nei film “Romanzo di una strage” (2012) di Marco Tullio Giordana (interpretato da Pierfrancesco Favino), nell’episodio “Il commissario” (2014) di una miniserie televisiva.
Altra arte a cui è dedicato il ricordo del Nostro è la musica con la “Ballata del Pinelli” scritta nell’occasione dei suoi funerali da due anarchici mantovani. Nel febbraio 1970, il cantastorie Franco Trincale compose un “Lamento per la morte di Giuseppe Pinelli”, che divenne molto popolare e fu inciso in diversi album di questo artista, e molte altre.
Quindi fu ricordato anche nel teatro, come l’opera teatrale di Dario Fo “Morte accidentale di un anarchico”.
Il 9 dicembre 2019 debutta al Teatro dell’Elfo di Milano ”Il rumore del silenzio” di Renato Sarti, con Laura Curino e lo stesso Sarti. Il testo, finalista al 55º Premio Riccione, racconta le vicende delle vittime della Strage di piazza Fontana e di Pinelli.
Quindi ecco la pittura con Enrico Baj: l’opera intitolata “I funerali dell’anarchico Pinelli” e doveva essere esposta a Milano nel giorno dell’omicidio del commissario Calabresi. Per volontà del Comune di Milano, la sua sede definitiva sarà prossimamente al Museo del Novecento.
L’obiettore di coscienza cattolico Giuseppe Gozzini difese pubblicamente l’immagine di Giuseppe Pinelli e, come ricorda Giorgio Nebbia, “sarà il primo a sostenere l’impegno nonviolento di questo sconosciuto ferroviere, con una lettera aperta pubblicata da decine di giornali e riviste”. Della vicenda Pinelli si occupò lungamente Camilla Cederna, giornalista di fama, che pubblicò la sua testimonianza in un libro intitolato “Pinelli. La finestra sulla strage”, edito nel 1971 e ripubblicato nel 2004.
Varie lapidi in ricordo di Giuseppe Pinelli sono state scoperte negli anni a Milano ed anche a Roma, all’ingresso della Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza.
Giuseppe Pinelli è sicuramente e resterà sempre nella memoria popolare perché credo che colpisca il modo in cui è morto.
Tali presunti metodi potevano essere di un periodo ormai lontano anni luce , ma ingiustificabili nel 1969, in piena e consolidata democrazia. Bellissimo fu il gesto, con testimone l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dell’abbraccio tra la vedova del Pinelli e la vedova del commissario Calabresi. E la storia saltuariamente ci fa testimoni di questi bei gesti.
La Storia è “magistra vitae” e continua sempre ad esserlo.