FRATELLI E SORELLE: QUANDO LA LETTERATURA E’ “DI FAMIGLIA”

FRATELLI E SORELLE: QUANDO LA LETTERATURA E’ “DI FAMIGLIA”

Autore: Stefano Luigi Cantoni

Ricevere stimoli e input letterari porta, alle volte, ad avventurarsi in voli pindarici non indifferenti che, si spera, conducano ad una conscia riflessione o, quantomeno, ad un benevolo e ironico sorriso, che di questi tempi non guasta mai. La letteratura ha in serbo sorprese e meraviglie senza fine, a partire da un aspetto che spesso passa in secondo piano rispetto ad altre peculiarità: fratelli e sorelle appartenuti alle stesse pagine, alle stesse righe e agli stessi respiri di capolavori senza tempo.

L’intento del sottoscritto, in queste poche righe, è quello di delineare una parabola che indaghi questo legame consanguineo così profondo, tentando di intuire come il tempo (e non solo lui) ha mutato le chiavi di lettura di tale instabile e oltremodo affascinante rapporto umano.

Occorre partire da molto lontano, esattamente tra l’VIII e il VI secolo a.C. quando Omero, massimo poeta e compositore del mondo arcaico, da vita a uno dei suoi capolavori assoluti (traccia indelebile anche per la letteratura a venire): l’Odissea. Qui incontriamo, tra le varie peripezie di Ulisse, la figura della maga Circe che, in realtà, ha anche un fratello: il suo nome è Eeta (o Eete), padre di Medea (ricordate gli Argonauti e Giasone?) e mago anche lui. Ora, pensare che uno dei primi esempi di “fratellanza letteraria” sia legato al mondo della trasformazione del reale, delle formule, della ciclicità imperscrutabile del Divino non può che affascinare, conducendo me (classicista imperterrito) e tutti noi ad un’oasi di evasione, abbandono e accettazione del mondo (lezione quantomai moderna, peraltro…)

Spostandoci in avanti nella linea (implacabile e affascinante) del tempo, non possiamo non citare il primo testo volgare della letteratura italiana, il Cantico delle Creature di San Francesco D’Assisi, composto tra il 1224 e il 1226: qui fratello Sole e sorella Luna si interfacciano alla stregua di fulgidi astri, definendo in poche mirabili righe quanto contasse, al tempo, l’essenza del Cielo, del Cosmo, in una parola (cara ai latini) delle Res Celestae in contrapposizione alle “umane e caduche cose.” Il sole, per Francesco, di Dio «porta significatione», ne è l’emblema, così come sorella Luna che, assieme alle stelle, ha dato vita a forme celesti «pretiose et belle.»                                                                                      Un rapporto forte ed etereo, reciproco e fisico nella sua intangibilità, fatto di sensazioni, percezioni e intuizioni: Sole e Luna non possono fare a meno l’uno dell’altra e, solamente nel loro alternarsi (e opporsi), possono esaltare la loro stessa e necessaria ragion d’essere.

Dopo circa tre secoli dal Cantico delle Creature, un “certo” Ludovico Ariosto dona alle stampe (1516 la prima edizione) uno dei capolavori assoluti della letteratura italiana, l’Orlando Furioso, nel quale si celano tra le righe del poema capostipite del genere epico-cavalleresco le figure di Bradamante e Rinaldo, fratelli di sangue nonché cugini di Orlando, entrambi nelle fila dei cristiani nella lotta contro i Mori. Rapporto poco evidenziato dai più eppure profondo, soprattutto per la descrizione che Ariosto da della guerriera, dotata di «gran possenza» e «molto ardir».                    Un imprevedibile elogio dell’eclettismo femminile, non c’è che dire: oltre che amante appassionata (di Ruggero) il suo rapporto col fratello si dipana su fili leggeri, quasi intangibili, entrambi presi nella morsa di una guerra razziale (quello era, oltre che religione) tra popoli, obbligati a ruoli dolorosi e oltremodo necessari, condividendo alcune tra le pagine più potenti e drammatiche della letteratura italiana.

Approdando al 1951, ultima tappa di questo breve viaggio, Salinger regala al depresso, disperato e stralunato Holden Caulfield una sorella: Phoebe. Per lui, in mezzo al buio, ella appare come un angelo (simile a quello cortese-cavalleresco, seppur in salsa moderna) in grado di donargli l’unica briciola di fiducia verso un mondo illeggibile, chiuso come un bosco di rovi spinosi dinanzi alle sue (timide e goffe) intenzioni di avvicinarlo. Phoebe Caulfield è l’unica con cui Holden riesce a sentirsi a casa, libero da incastri di sorta e catene invisibili che la crisi dell’era moderna aveva stretto al collo di ogni individuo.                                                                                                        Phoebe altro non è che l’infanzia stessa che Holden fatica ad abbandonare e alla quale egli pare drammaticamente legato (nonché impossibilitato a svincolarsi), simile a una sorta di alter ego che Salinger ha sapientemente creato per dar senso a una storia fatta di uomini e donne, nel solco dei suoi illustri predecessori sopra citati.

La lezione che se ne può trarre, analizzando tali nobili esempi, è oltremodo profonda: che si tratti di magia, religione, guerra o crisi interiore, la parabola del viaggio ha spesso avuto il volto di un fratello e di una sorella che, stringendosi l’un l’altra, hanno reso meno duro un tratto di percorso.