Autore: Sabrina Fava
Sono poche le pellicole che possono cambiare il mondo del cinema ma chiunque abbia posato le iridi sul capolavoro che è Matrix è conscio che esiste l’epoca pre-Matrix e l’epoca post-Matrix. Un film dove un giovanissimo e altrettanto affascinante Keanu Reeves si destreggia in un pianeta Terra in cui la percezione della realtà è una mera utopia. Il risveglio è il fulcro del lungometraggio e il “niente è come sembra” pare essere il grido che vogliono lanciare i fratelli (ora sorelle) Wachowski.
Occhiali da sole neri, lunghi cappotti di pelle, una bella dose di proiettili e tute in latex sono le prime immagini che si focalizzano davanti allo sguardo, tuttavia, quei geni di registi non possedevano il minimo desiderio di limitarsi a questo.
Ed è qui che giunge un fulmine a ciel sereno a spaccare lo schermo.
Neo, interpretato dal nostro amato Keanu sa che c’è qualcosa di storto nell’ordinaria follia quotidiana. Così, intimato da una frase che appare sullo schermo del suo computer digitata da solo Dio sa chi, comincia a seguire il “coniglio bianco” tatuato sul corpo di una ragazza a mo’ di deliziosa citazione all’opera Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol.
Ed è allora che prende a inoltrarsi nell’oscura tana del pazzo animale.
Fra numeri binari e la famosa scelta fra la pillola blu e la pillola rossa, il protagonista decide di farsi prendere a pugni dalla realtà.
Una semplice decisione può cambiare la forma delle cose.
Durante la visione di questo film ognuno di noi ha esclamato: “Ma che diavolo sto guardando?” e successivamente, senza il coraggio di esprimere i propri pensieri a voce alta, si insinua come un virus la malsana idea che possa essere più verosimile di quanto sembri.
Ci ritroviamo a domandarci se la nostra esistenza non sia semplice e pura finzione ma per chiedercelo non è necessario essere spediti nella Città delle Macchine ed essere usati come combustibile per mandare avanti una nuova specie.
C’è una teoria secondo la quale ciò che ci circonda non è altro che frutto della nostra mente, le persone che amiamo sono fantasmi e i colori che rimiriamo sono tinteggiati dalla fantasia. Hanno parlato e parlano ancora della verità come realtà soggettiva.
Ed è questo il fine di Matrix, farci comprendere che ciò che l’essere umano narra fin dall’alba dei tempi è la ricerca di un motivo per cui vivere nella speranza che quello per cui viviamo sia reale.