Autore: Antony Russo
Spesso si è soliti additar come ingenui coloro che hanno una visione ottimistica delle persone.
Essi nutrono ancora tanta fiducia nei confronti del prossimo, perché non ancora marchiati dai dolorosi insegnamenti della vita. Non sono stati macchiati dal menefreghismo e dall’egoismo altrui.
Il loro candore, verrebbe meno durante il cammino di vita, a causa delle numerose ferite inferte.
Il maturo dovrebbe essere, dunque, colui che abbraccia una visione pessimistica, come molti pensano? Colui che entra in ogni rapporto partendo dal presupposto che chiunque si trovi di fronte sia un nemico. Salvo poi cambiare idea qualora ci dimostri il contrario.
Io trovo immaturi quest’ultimi ancor più dei primi.
Dovrei avvallare una visione secondo la quale sintomo di crescita dovrebbe esser agire in base alle ferite subite?
Quando si ha fisicamente una lesione o siamo mal disposti, sappiamo benissimo che la nostra capacità di discernimento cala drasticamente. Perché dovrebbe essere diverso quando tale malessere ha radici di natura emotiva?
Ai diffidenti, a mio avviso, manca lo step successivo. Quello della piena neutralità, laddove non si pende verso un’eccessiva fiducia o sfiducia. Non ci aspetta troppo o poco da chi incontriamo, perché siamo consapevoli che nessuno ci deve niente.
È quello il momento in cui si smette di nutrire aspettative negative o positive da parte del prossimo, il quale non verrà più da noi giudicato in base al comportamento che pensiamo dovrebbe tenere.
Si smetterà di dar importanza a quel che fa e ci si concentrerà, piuttosto, su quel che egli è. Non sarà il singolo gesto a descriverlo, ma l’agire nel suo insieme.
Riusciremo a convincerci che la nostra visione del mondo è relativa e non assoluta e che i valori, le etichette ed i pregiudizi sono solo un nostro modo di pensare e non il migliore in assoluto.
Sarà a quel punto che davvero vedremo per quel che realmente sono i gesti dagli altri e potremmo, davvero, valutare le azioni altrui in maniera oggettiva. Impareremo ad apprezzarle.
Si avete capito bene. Si smette di giudicare le azioni, arrivando a valutare la persona per quello che è al netto di etichette o pregiudizi, per riprendere a valutare l’agire per quello che effettivamente è.
Del resto giudicare o valutare non sono quivi la medesima cosa. Il primo implica individuare quanto è giusto o sbagliato, il secondo, invece, implica il determinare l’adattabilità di quanto chi ci circonda serba dentro di sé rispetto a quanto siamo noi.
Le persone diverse da quel che siamo non verranno più considerate sbagliate, ma al massimo incompatibili. Dobbiamo decidere noi se è opportuno tenerle accanto perché ci consentono di crescere, attraverso un confronto diretto con una visione opposta alla nostra, affiancarle durante la crescita qualora le si voglia accompagnare, ovvero lasciarle andare rispettando comunque il loro diverso modo di approcciarsi alla vita. Semplicemente non sono per noi un valore aggiunto.
Del resto oltre alla visione diversa, potremmo incontrare nel cammino persone con noi compatibili, ma ancora immature, nel senso sopra descritto. Sta a noi comprendere quanto vogliamo investire emotivamente.