FACCIA FACCIA CON LA MUSICA ALESSANDRO CENEDESE

FACCIA FACCIA CON LA MUSICA ALESSANDRO CENEDESE

Autore: Davide Libralato

Alessandro Cenedese e la musica erano destinati a condividere tante esperienze.  Raccontaci come ti sei avvicinato a questa meravigliosa Arte… io qualche ricordo ce l’ho,  ma conoscendoti da molti anni parto parecchio avvantaggiato…
Mi sono avvicinato alla musica suonata intorno ai 13/14 anni, grazie a Davide Granzotto, il mio piu’ grande amico dell’epoca. Un bel giorno mi dice di fare una band, dove sia lui che suo cugino Paolo avrebbero suonato la chitarra. A me rimanevano o il basso o la batteria, e io ho scelto la batteria. Una volta noleggiata, il pomeriggio stesso ho cominciato a montarla  senza nemmeno sapere come si facesse. Era l’ultimo dell’anno e nel bar di Davide, che per l’occasione (e per una festina privata) sarebbe rimasto chiuso, dovevamo suonare a tutti  i costi. Abbiamo praticamente fatto un concerto improvvisato, ho il ricordo di un “Smell like teen spirit” terribille!
C’era poca consapevolezza nel voler far bene le cose, ma una forte voglia di farle. Quella notte di San Silvestro a distanza di tempo mi ha fatto capire, citando anche un famoso proverbio della zona, che innanzitutto era necessario prendere la batteria e che poi avrei imparato a suonarla. L’ approccio e la volontà stessa di esprimermi senza replicare brani altrui era predominante.  Da qui la nascita degli Head Blade, che con gli anni hanno attinto sia dal Metal che dall’Hardcore Punk. Ricordo una prima demo registrata nello studio casereccio di un fondatore dei One Dimensional Man, il quale con estrema gentilezza e amore mi suggeriva come suonare alcune parti dei brani… data la mia ingenua inettitudine. Eravano in alta campagna veneta, c’era una sorta di pizzeria nelle vicinanze che vendeva solo Diana blu (alle quali noi toglievamo un pezzo del filtro per renderle più forti). Per quanto concerne invece il mio avvicinamento alla musica in generale, è avvenuto molto prima. Avrò avuto circa 7 anni. Credo fosse l’unico linguaggio che mi avvicinava un po’ a mio papà dato che lui canticchiava sempre ed io ho dei ricordi nei quali venivo ripreso con una telecamera mentre cantavo “A chi” di Fausto Leali. Da lì in famiglia, riconoscendo che qualcosa di particolare potesse bollire in pentola, mi è stata regalata una tastiera Bontempi. Infatti da batterista  prima e da cantante poi, nella musica ci sono entrato eccome.

Chi ha ascoltato la tua musica può intuire che tu sia un appassionato di rock e musica Cantautorale in generale. In realtà che musica ascolti oltre al genere che suoni?
La mia passione per il punk prima ed il Metal poco dopo mi hanno fatto diventare un grande voluttuoso di questi generi, da suonatore oltre che da ascoltatore. Poi come mi capita spesso quando mi disinnamoro delle cose non mi sento più parte di esse e mi ci allontano. Per drammi amorosi sono passato dall’heavy metal ai Radiohead, dal rock italiano (con dei mostri sacri quali Marlene Kuntz e Afterhours) a icone cantautorali come Fabrizio de Andrè e Lucio Dalla che sicuramente tutt’ora in Italia considero il più grande scrittore di testi. L’ Artista però che ho avuto il piacere di ammirare più volte dal vivo (una quindicina) e che sono riuscito a conoscere personalmente è stato Franco Battiato. La sua morte per me è stata come la perdita di uno zio, um personaggio di riferimento per me. Credo che oggi stiamo vivendo un periodo molto triste a livello musicale, non ci sono grandi cose da poter ascoltare. Voglio essere sincero nel dirti questa cosa: odio la Trap. Non credo nella forma/formula “canzone”,  Popstar e Rockstar non esistono più. Pertanto me ne sto sulla sponda del fiume ad aspettare che passi il cadavere.

Come detto in precedenza sei stato per parecchi anni un (gran) batterista.  Com’è cambiare strumento in corso d’opera?
Mi consideri un gran batterista? Io non mi sento tale, penso per me sia stata più un’alfabetizzazione emozionale. La magia era sentire un Igor Cavalera o gente così. Ora tutto questo si è sdoganato e quindi meno ancora mi sento all’altezza. In ogni caso ringrazio questo strumento perché mi ha permesso di conoscere altre cose ed avvicinarmi a quello che volevo fare davvero.

Hai un grande senso di appartenenza verso la tua terra. Quanto questa influisce in quello che fai? Partendo dall’etichetta discografica da te creata (Maine Wine records) passando per i brani che scrivi arrivando a tutti i tuoi progetti, le tue origini hanno una gran rilevanza. Me lo confermi?
Beh, adoro la mia terra anche se i migliori “risultati” li ho avuti ben distante da lei: prima Bologna, poi Roma…insomma ne sono un pò succube. Sono Veneto, anzi trevigiano, anzi di sinistra Piave. È un pò difficile piantare la bandierina della cultura da noi, è più facile innestare quella dei soldi, dell’ignoranza, della puttaneità. Ciononostante non credo siamo inferiori a nessuno e preferirò essere sempre un cittadino Europeo piuttosto che Americano. Per rispondere alla tua domanda ti dico che per la mia terra ho un senso di appartenenza nel quale ci vedo un punto di partenza. Trovo un pò triste pensare di vivere tutta la vita in una frazione del paese dal quale provengo, piuttosto porto un pò di questa realtà nel mondo, è meglio no?
La creazione della Maine Wine records è stato un gesto di entusiasmo. Mi sono trovato completamente solo e incompreso , così ho creato questa realtà, con l’intento di pensare a qualcosa di più rurale rapportando riportando il tutto anche nel mondo della musica, come fosse una costruzione più datata ma a mio vedere anche di maggior qualità. Un po’ come nell’edilizia,  dove credo oggi ci debbano convincere che moderno sia migliore, ma non è sempre così,  anzi.

Hai esperienze sia da musicista di band che da solista.  Che differenze ci sono nell’essere parte di un progetto condiviso rispetto al non “dover render conto”  a nessuno?
Sicuramente l’aver fatto parte di una o più band è una cosa fighissima, perché sei parte di un collettivo che rema nella stessa parte. Personalmente oltretutto, vuoi per l’età che avevo quando sono nate, vuoi per la forza che ci ho messo… il pubblico mi conosce di più per le cose fatte con i “L.ego” (la band nella quale mi sono espresso con maggior riscontri come autore e cantante) rispetto a quanto mi si conosca come Alessandro Cenedese. Questo però ha anche l’altra faccia della medaglia, e ora come ora con onestà intellettuale devo ammetterlo: non mi va più di avere un pensiero comune, di aver dei compromessi per esprimere ciò che voglio dire. Ho delle esigenze comunicative pertanto preferisco esprimerle in solitaria. O eventualmente se proprio qualcosa dovesse ispirarmi o stuzzicarmi dovrebbe avere un’identità ideale e di certo non si potrebbe chiamare solamente Alessandro C.

L’ultima domanda, quella che si ripete in tutte le mie interviste: “l’Artista per me può definirsi tale perché vive sognando”. Qual’è il tuo sogno Alessandro?
L’Alessandro di adesso è disilluso.  Come ben sai soprattutto dopo la morte di mio padre mi sono trovato a dover essere molto reale e pragmatico. Sono sempre stato una persona molto ambiziosa. Attualmente ho trovato un compromesso, o almeno credo. Sono agente di commercio per un gruppo radiofonico molto importante,  che mi giustifica un pò alcune cose. Di scrivere musica adesso mi interessa poco, delle cose le ho fatte. Attualmente sono slegato dalla musica intesa come formula-canzone. Infatti faccio delle cose per lo più scanzonate (in dialetto) come “Ragazzo marzo”, utilizzando un App per questo tipo di contenuti digitali e devo dire che ho quasi più risposta in questo modalità. La realtà in questione mi fa capire che forse la gente ha semplicemente voglia di ascoltare per divertirsi, a scapito anche dei contenuti. Questo non è un problema assoluto ci mancherebbe, ma dato che non era il motivo per il quale ho intrapreso seriamente il mio percorso con la musica, ho deciso di prendermi autonomamente il mio tempo per capire cosa, come e quando fare qualcosa di “serio” . Tornando alla tua domanda, non mi piace molto questo Artista che “vive sognando”. L’Artista dovrebbe essere responsabile di quello che succede, non vivere sognando. Io sogno vivendo piuttosto, e fanculo. Non mi interessa nemmeno fare la parte di quello succube del sistema… sono responsabile di quello che sono e di quello che faccio, ho una sensibilità diversa.