Autore: Davide Libralato
Il cantautorato di oggi ha preso delle sembianze differenti rispetto ad un tempo. Tu per me sei un rappresentante di “quel tempo”. Secondo te oggi sono cambiati di più i cantautori o la musica che propongono?
Parto dal presupposto che io non mi ritengo un cantautore, o meglio: io non mi sento proprio. Respiro in questo mondo. Ciò che mi fa stare meglio è immagazzinare canzoni per poi cantarle, ma senza l’apporto dei miei compagni non ne avrei la possibilità. Aggiungo che non sono un raccontatore di storie, non le so e non ho risposte. Non ho nulla e se avessi qualcosa vorrei perderla. Mi sento uno studioso dell’inutile e per me questo è un raggiungimento. Detto ciò, gli esseri umani non cambiano. Cambia lo scenario tecnico/simbolico/linguistico. E in questo e per questo motivo mi sento più un antico albero di tiglio che un essere umano. Come tutto e tutti e come ogni essere vivente non ho nulla di speciale. Sono ponte tra le epoche, memoria di oggetti inanimati e non mi piace avventurarmi perciò in paragoni perdonami. Sono troppo piccolo ed evanescente per poterlo fare…
Esibirsi condividendo il palco con una band è una scelta ben precisa e sotto certi aspetti è un valore aggiunto che aumenta la resa del brano stesso. Al contrario, la decisione di proporsi con il proprio strumento per un’intera tournée (come stai facendo tu adesso) merita un plauso. Puoi spiegarci le motivazioni di questa tua direzione stilistica?
Mi perdonerai ancora per ciò che ti dirò, ma non aspiro ad alcuna esibizione. Le mie sono piccole incursioni da bambino. Trovo delle cose dentro le cose e le esprimo. Mi basta una carezza in cambio. Non ho alcuna direzione stilistica… non ho proprio alcuna direzione. Mi piacerebbe suonare sempre con i miei compagni ma alle volte non si può per svariati motivi. Cosi faccio il possibile da solo, non c’è nulla di programmatico. La vita succede e io cerco di farla succedere. Ma da solo aggiungo, mi vergogno tanto ad esprimermi.
Mi ha colpito la sensibilità che hai dimostrato durante il tuo soundcheck prima del live a Treviso, quando vedendomi con la mia bambina mi hai chiesto subito quanti anni avesse collegandola all’età di tuo figlio (maschietto se non ricordo male). Che padre è Paolo Benvegnù?
Sono babbo di una bimba anche io e anche in questo ambito faccio il possibile. Imparo da Anna ogni giorno: il femminile, la creazione in luce, l’ira e l’amore innocente. O forse, l’amore supremo è sempre innocente, anche nelle tendenze più bieche. Imparo a stupirmi del mondo e cerco di trasmetterle pazienza. Ma Anna, come ogni individuo è sua. Quindi, starà a lei discernere.
Quando diversi musicisti decidono di dedicare una loro interpretazione di brani della tua band (gli Scisma), significa che qualcosa di buono hai e avete donato. Che emozioni scaturisce in te questa cosa meravigliosa?
Ah, in realtà penso che sia successo poche volte tutto questo ma sono sempre felice quando succede. Scisma è stato un romanzo di formazione. E se quell’esperienza può servire ad altri ne sono felice. Non per senso di paternità o volontà di infinito, ma perché da spettro del tempo passato mi incuriosisce un’altra idea di futuro per quelle parole, per la realtà che è stata. E poi i miei compagni di allora sono esseri umani incredibili, onore anche a loro.
Reciti così: “Possibile che mentre dominiamo tutto ricostruiamo tutto e distruggiamo tutto noi perdiamo la memoria e non ne sentiamo la mancanza”. Da questo splendido passaggio contenuto ne “Il sentimento delle cose” ho fatto (più di una) riflessione basata sulla riconoscenza che troppo spesso ci manca, indipendentemente dal nostro ruolo nel mondo e da come ci poniamo nei suoi confronti. Tu mi sembri molto consapevole e riconoscente, almeno alla luce di quello che esprimi da rappresentante di un Arte fatta di linguaggio e musica. Cosa ne pensi in merito?
Mi sento un privilegiato. Respiro nel primo mondo, ho potuto vedere luoghi che non pensavo di potere raggiungere, sia dentro che fuori da me. Come posso non ringraziare di ogni cosa? Come posso non pensare che tutto sia un prodigio? Sono grato e cerco di non essere ingombrante. Sono normale e apprezzo ogni cosa. Mi sono arreso felicemente alla vita.
L’ultima domanda, quella che si ripete in tutte le mie interviste: “l’Artista per me può definirsi tale perché vive sognando”. Qual è il tuo sogno Paolo?
Sai… io non sono un artista. Non so cosa sono e se sono. Ma rivendico il diritto di poter sognare. Cosa sogna un estintore? E un ferro da stiro? Il mio sogno è sciogliermi nella materia, mi capiterà. Quando capiterà, come a tutti, sarei felice se gli esseri umani fossero felici. Tutti. E so che purtroppo non capiterà.